“Non sono il secondo Eddy Merckx ma il primo Peter Sagan…”. Anni fa così rispose “Petersagan”  a un giornalista francese che al Tour provò a paragonarlo al Cannibale. Sempre impossibile fare confronti ma con lui a maggior ragione perchè Sagan è Sagan, ciclista unico e non ripetibile. Due giorni fa ha corso l’ultima sua gara su strada arrivando nono nel tour della Vandea in Francia e oggi ha salutato tutti con un tweet: “Poteva, il ragazzino che ero, immaginare tutto ciò che lo aspettava?  Sono grato per questa carriera. Grazie alle mie squadre, ai miei compagni, ai miei amici, allo staff, a chi mi è stato vicino nella buona e nella cattiva sorte. Grazie a tutti voi, ai miei fan, a coloro che mi hanno supportato e che mi hanno dato un sostegno incrollabile in tutti questi anni. È giunto il momento per me di voltare pagina, cambiare capitolo, ma l’avventura non finisce mai veramente…”.

Tranquilli non si ritira, non del tutto almeno. Ma la strada diventa un’altra, quella sterrata e più accidentata della mountanbike che, nelle intenzioni, dovrebbe portarlo a Parigi il prossimo anno a correre un’ Olimpiade.  Che non è un sogno impossibile, almeno per lui. Ma il presente da oggi è passato. Addio quindi. Con 121 vittorie, tre mondiali vinti di fila,  una Parigi-Roubaix, un Giro delle Fiandre, tre Gand-Wevelgem,  18 tappe  nei Grandi Giri e 7 maglie verdi  al Tour de France si chiude la formidabile avventura di questo 33 enne slovacco che i numeri non bastano a raccontare perchè, nonostante in tanti abbiano fatto meglio,  nonostante non sia stato  il più forte, nonostante non sia stato il più vincente è stato senza dubbio uno dei migliori.

C’era un ciclismo prima di Peter Sagan, ce n’è stato un altro con Peter Sagan e non solo perchè ha rivoluzionato con le sue doti da funambolo il modo di andare in bici capace com’è, nessuno come lui, di salire e scendere da rotonde e marciapiedi, di saltare ostali senza mai perdere velocità. Capace anche  di impennare…ma questo è un altro discorso.  C’è stato un altro ciclismo dopo Peter Sagan perchè ha inventato un altro ciclismo,  l’ha rivoluzionato, lo ha stravolto nel protocollo. Spettacolare, vincente, imprevedibile, potente, elegante, mai scontato, ha tolto le ragnatele da un mondo che prima di lui era spesso banale in corsa e dopo. Lo ha reso politicamente scorretto, divertente, geniale ogni volta che ha potuto: quasi sempre.

Un ciclismo d’autore che aveva nelle vene già a nove anni quando dalle sue parti, a Žilina una piccola città nel nord della Slovacchia, sulle orme del fratello più grande Jurai ha cominciato a pedalare in mountainbike. Si vede subito quando un ragazzino in bici ha un’altra stoffa. E infatti qualche anno dopo “Peter il terribile” si metteva sulle spalle la maglia di campione del mondo Juniores. La prima di una storia che così è cominciata e così è continuata. Velocista, passista,  discreto in salita, finisseur come tanti, come i migliori ma con quella genialità guascona che ha sempre fatto la differenza, che ha portato una ventata di freschezza in un mondo stantio di diete, di computer, di watt, di gente che vive a ruota.  In tanti vanno forte, anche fortissimo, in pochi come lui sono stati capaci, di spiazzare, di osare anche quando la logica sconsigliava o consigliava di attendere, di fare altro o di non far nulla.

Sagan le “roi” titolavano i giornali francesi dopo la sua vittoria a Roubaix. “Sagan il fenomeno” andava a ruota la Gazzetta. Sagan il re Mida che ha trasformato in oro ogni pedalata e l’ha fatta diventare spettacolo puro anche improvvisandosi attore, come alla Pinacoteca di Brera per presentare un Giro di tanti anni fa. Una “rockstar” con i colori dell’iride da Richmond, a Doha a Bergen. Tre volte campione del mondo, come nessuno mai nella storia del ciclismo, come solo  lui poteva e ha saputo fare.  Gli altri hanno vinto lui ha emozionato.  Con la leggerezza dei grandi, senza mai fare proclami, con la maturità di un campione che non ha sbraitato neppure quando per una gomitata lo hanno sbattuto fuori da un Tour dove era destinato a fare la star

Tutti hanno vinto ma Sagan ci ha sempre messo  qualcosa in più. Non il colpo di reni, gesto antico e di tecnica pura di chi sa cogliere l’attimo.  Ci ha messo la  faccia disincantata, lo sguardo guascone a volte triste a volte irriverente, la semplicità di un grande in un mondo spesso di mediocri che però si prendono maledettamente sul serio.  Non sono stati i campionati del mondo a incoronarlo, semmai è stato il contrario.  Ci sono maglie iridate  finite sulle spalle di illustri sconosciuti che le hanno portate in giro per il mondo nel più completo anonimato.  Ci sono campioni del mondo che nessuno più neanche sospetta e neanche immagina. Sagan invece ce lo ricorderemo tutti. Ora più che mai.

Ci ricorderemo tante delle sue vittorie allo stesso modo della “fucilata” di Beppe Saronni a Goodwood.  Gesti consegnati alla storia, per sempre. Una rivoluzione di cui il ciclismo moderno appiattito da tattiche e doping aveva bisogno e che lascerà in eredità. Così come la sua incoscienza e il suo coraggio,  miscela esplosiva dell’estro e della classe che per sempre resteranno la didascalia della sua figurina.  In bici e giù dalla bici mancherà a tifosi e giornalisti nel bene e nel male. Mancherà uno che prese a insulti un cameraman della Vuelta che per filmarlo rischiò di farlo atterrare sull’asfalto; mancherà uno che diede un pizzico sul sedere di una miss sul podio e fece imbufalire Fabian  Cancellara, che poi  le mandò un mazzo di fiori per scusarsi. Alla miss.  Mancherà uno che dopo la vittoria del mondiale che lo consacrò stella di primaria importanza in un mondo che è sport ma anche contratti, sponsor, marketing e soldoni,  se ne fregò di tutto e di tutti se ne andò con quattro amici al pub a festeggiare con un birra.  Mancherà  l’ uomo che , dopo aver vinto tre mondiali di fila,  le prime parole le regalò al  suo amico Michele Scarponi  mandando un saluto alla moglie e ai figli.  Mancherà. Anzi manca già…