Ci sono tante maratone. E poi c’è New York…
E fanno cinquantatrè. Cinquantatrè maratone a New York, più di mezzo secolo di storia per una sfida che va oltre quei fantastici 42 chilometri e 195 metri che attraversano i cinque distretti da Staten Island a Brooklyn, dal Queens a Manhattan, al Bronx fino a Central Park. Non sarà la più antica, la più tecnica e forse neppure la più bella ma è l’unica maratona che un po’ ti cambia la vita. “Se vinci da qualche parte del mondo diventi un atleta di primo piano ma se vinci a New York diventi famoso..» racconta ogni volta che glielo chiedono Gianni Poli, un pezzo di storia della nostra maratona, il primo azzurro a scendere sotto le 2ore e 10 minuti sui 42 chilometri, e vincitore nella grande Mela nel 1986. E a Poli, ma anche a Orlando Pizzolato che a Central Park è arrivato a braccia alzate nell’84 e nell’85 e a Giacomo Leone primo nel ’96 la Nycm la vita l’ha cambiata davvero. E non solo a loro. La vita un po’ la cambia a tutti perchè per un maratoneta correre a New York è il coronamento di un sogno che a volte ti fa nascere e rinascere. O almeno ricominciare. Perchè in quel fiume di gente c’è dentro di tutto, con la corsa che diventa il modo per riscattarsi, per prendersi una rivincita, per dimostrare a se stessi che non c’è difficoltà, sfortuna, malattia o destino contro cui non si possa lottare, combattere e magari vincere. Basta crederci e basta volerlo. New York sono tante storie. Tutte da raccontare. E domani si va. Un fiume di gente che all’alba dalle case del centro, dagli hotel da ogni dove sarà “deportato” all’alba nella base militare di Staten Island ad aspettare , tra un massaggio e un bagel, la sua onda, la sua ora di partenza. Emozione e tensione che si intrecciano. Emozione e tensione per chi corre e per chi organizza e vigila su una festa e su quel milione di persone che saranno sulle strade a sostenere dal primo all’ultimo dei runner. Edward Caban, capo della polizia di New York, rassicura ma il livello d’attenzione resta alto soprattutto dopo l’escalation del conflitto in Medio Oriente e i molti episodi di antisemitismo e di islamofobia: «Al momento non ci sono minacce credibili o specifiche- spiega-. Detto questo, attueremo comunque un piano di sicurezza globale con molti livelli di controllo lungo il percorso». Migliaia gli agenti mobilitati, compresi quelli dell’antiterrorismo, anche se le rafforzate misure di sicurezza saranno discrete in una città che accoglierà gli oltre 50 mila al via. Oltre duemila gli italiani, la ” squadra” più numerosa, come sempre, seconda solo agli americani. New York per una giornata si fermerà ad applaudire. Per gli “yankees” è uno dei grandi eventi dell’anno, un po’ come il Superbowl, come la finale Nba o quella dell’Us Open di tennis. Sarà visibile in 206 Paesi al mondo, sarà trasmessa in oltre 500 milioni di case comprese le nostre con la diretta della Rai. Nel 1970 quando l’avventura cominciò al via c’erano 127 podisti. Cinque anni fa sul traguardo di Central Park , l’allora sindaco di New York Bill De Blasio aveva premiato il milionesimo concorrente arrivato al traguardo. Un numero infinito, inimmaginabile che però dà il senso di cosa sia diventata la corsa, di cosa sia diventata questa maratona che per gli americani è la sfida possibile, l’alibi per poi sedersi sulla tavola di un fast food senza sensi di colpa. E’ la svolta salutista che Michelle Obama, quando arrivò alla Casa Bianca, chiese a Dean Kanarzes l’ultramaratoneta che Time aveva inserito tra i 100 uomini più famosi d’America: «Siamo un popolo sovrappeso- gli disse allora- Devi farci correre…» E così ora corrono in tanti, quasi tutti. Belli, brutti, magri, grassi, giovani e anziani, madri e nonne… New York è la “terra promessa” di un popolo che non vuole avere rimpianti, con la folla sulle strade, i campanacci, le scritte, i sorrisi e i pianti. Con i suoi pettorali che, nonostante costino anche 500 dollari, devono essere contingentati per dare una possibilità a tutti di cucirselo addosso almeno una volta nella vita. É l’America che conosciamo, che ti dà sempre una possibilità. E la maratona di New York è la vetrina perfetta, la scena ideale per ogni tipo di impresa. Per ricordare, per celebrare, per denunciare, per sostenere una battaglia. Chi vuol far sapere qualcosa al mondo viene a correre a New York. Che è una città che sembra un film di quelli già visti, di quelli che ti danno sempre la sensazione di esserci stato, di esser di casa. Una città che vale il viaggio. Sempre. Ma quando c’è la maratona forse di più. Perchè ogni maratona è fantastica e ce ne sono di fantastiche in ogni angolo del mondo. Ma poi c’è New York…