Parsani in handbike nel deserto: “E’ dura ma non mi arrendo…”
«Il 31 dicembre il mio primo pensiero quando mi sono svegliato non è stato il cenone di fine anno: davanti a me avevo 170 chilometri da percorrere tra scenari meravigliosi, con labirinti di roccia e dune di sabbia, oasi e siti archeologici. Mai avrei pensato di festeggiare un Capodanno qui…». Continua il viaggio del «prof» Matteo Parsani, docente presso la King Abdullah University of Science and Technology (KAUST), che sta attraversando l’Arabia Saudita su una handbike. Un viaggio epico di oltre 3mila km che non è solo una sfida fisica ma un messaggio di speranza per chi deve fare i conti con le difficoltà quotidiane della disabilità e soprattutto un esperimento scientifico e tecnologico. Parsani, 42 anni, bergamasco che dal 2017 convive con una lesione midollare a causa di un incidente stradale, è costantemente monitorato da tecnologie all’avanguardia sviluppate da cinque laboratori scientifici del Kaust e i dati biologici raccolti dal Villa Beretta Rehabilitation Research Innovation Institute di Costa Masnaga (LC) permetteranno (grazie anche ad algoritmi di intelligenza artificiale) di valutare gli effetti di un’attività fisica estrema sul sistema nervoso di una persona con una lesione spinale. Nella lingua araba «Athar» significa «lasciare un segno» ed «Athar East to west» ciò vuole significare. Il via da Damman, il 17 dicembre scorso poi il deserto fino ad AlUla e dopo aver fatto tappa nelle città più importanti dei musulmani, Medina e La Mecca tornerà a nord, a Jedda, prima di giungere al Kaust, dove il 17 gennaio dove si concluderà l’impresa. Un viaggio fin qui duro ed impegnativo, con i pericoli delle strade, gli incidenti che ne hanno rallentato la marcia, con le tempeste di sabbia. Nei giorni scorsi Parsani ha percorso una delle tappe più lunghe: ben 174 chilometri. «Ma non è lo sforzo fisico a mettermi in crisi – racconta – Sono monitorato quotidianamente e i miei valori biologici sono nella norma. Ho solo perso un po’ di peso, ma ci sta. È la mente che comincia a dare segni di cedimento. Me ne sono accorto perché spesso mi sono ritrovato a pensare: arrivo a quella montagna e poi mi fermo…». Ma poi ovviamente continua un po’ per sé, molto per gli altri. «Non sono un super eroe ma voglio dimostrare che, se uno dentro di sé ha speranza e determinazione, si possono conquistare traguardi che prima, quando potevo camminare, non mi ero mai posto. Si tratta di riformulare il pensiero e cambiare prospettiva. Quando affrontiamo un momento di incertezza e ci sentiamo bloccati, dovremmo comunque essere grati, anche per le cose che ci sembrano ovvie. Dobbiamo avere fiducia, perché quando una porta si chiude, se ne apriranno altre quattro. E si aprono tutte su un balcone con vista sull’oceano».
GIORNO 9: VERSO LA SPOSA DEL NORD
Il viaggio verso la città di Hail, la “sposa del Nord” come la chiamano qui in Arabia Saudita, comincia come sempre all’alba. Pedalo lungo un percorso piatto e regolare, attraverso un deserto che sembra non finire mai. E poi c’è il vento che soffia forte e mi scatena forti dolori neuropatici alle gambe. Ma alla fine arriviamo. La città ci accoglie sotto una pioggia mista a nevischio, che si confonde con la sabbia più bianca. Giornata dura: in albergo i fisioterapisti mi aiutano con un lungo massaggio e mi applicare un tape sulla muscolatura. Sono così stravolto che dormo dieci ore filate. Non mi succedeva da quando avevo 20 anni.
GIORNO 10: LUNGO LA STRADA SEMPRE PIU’GENTE MI SALUTA
Oggi si pedala alla volta di AlUla. E’ uno dei tratti più duri di questo viaggio per via dei continui cambi di pendenza del terreno e delle lunghe tappe. Una lunga fatica così come i 153 chilometri che mettiamo insieme in questa giornata lasciandoci piano piano alle spalle il campo del Crown Prince, Mohammad bin Salman Al Sa’ud. Il bello di questa giornata e che il nostro passaggio è sempre accompagnato da feste, eventi, gente lungo la strada pronta ad applaudirmi. Che un po’ allevia la fatica…
GIORNO 11: LA MIA TESTA COMINCIA A FAR FATICA
Oggi ci aspetta un’altra giornata intensissima, la seconda dell’avvicinamento verso AlUla. E’ una delle tappe più lunghe: ben 174 chilometri. Ma non è tanto lo sforzo fisico a mettermi in crisi. Sono monitorato quotidianamente e i miei valori biologici sono nella norma. Ho solo perso un po’ di peso, ma ci sta. È la mente che comincia a dare segni di cedimento. Me ne accorgo perché sempre più spesso mi ritrovo a pensare: “Arrivo a quella montagna e poi mi fermo”. Ma poi, non so dove, trovo la forza di continuare. Forse nella musica…
GIORNO 12: UN BRINDISI TRA OASI E DUNE
È il 31 dicembre, ma il mio primo pensiero quando mi sveglio non è il cenone di fine anno: davanti a me ho 170 chilometri da percorrere. E’ un bel macigno da spostare e trovo la forza nel pensiero del luogo che mi attende: AlUla. È un posto meraviglioso, con labirinti di roccia e dune ondulate di sabbia, oasi e siti archeologici. Sembra di stare in un altro pianeta. Finalmente arriviamo. Dopo una doccia e un breve riposo, ci concediamo un brindisi al 2024. Mai avrei pensato di festeggiare un Capodanno qui.