Sinner, non è solo questione di talento
Certo, è un tennista di talento ma non basta. Jannik Sinner supera Daniil Medvedev in 5 set nella finale degli Australian Open e conquista il suo primo Slam in carriera. Un’impresa storica quella del 21enne altoatesino, che diventa il terzo azzurro di sempre a trionfare in uno dei quattro tornei più importanti al mondo in campo maschile, interrompendo un digiuno che durava da 48 anni cioè dal successo di Panatta al Roland Garros del ’76. Quella di Sinner è la storia di un predestinato, di un ragazzo poco più che ventenne che sgretola un po’ ( un bel po’) di luoghi comuni che si portano appiccicati addosso tanti ragazzi di oggi: indifferenti, “sdraiati”, indolenti, senza carattere, incapaci di reagire. Per carità, per qualcuno sicuramente è così ma le critiche e i giudizi sono anche frutto di quell’ eterno conflitto generazionale che porta spesso chi è avanti con gli anni a non ricordare com’era in gioventù, cosa ha fatto e cosa non ha fatto…Ciò detto Sinner è un fuoriclasse assoluto, ha una dose di talento fuori dal comune che lo ha portato dov’è e chissà dove ancora lo porterà. Ma non basta avere talento. Non basta perchè è piena la storia di gente di talento che si è perduta per strada, che nulla ha combinato, che ha vivacchiato accontentandosi di navigare a vista. Nell’antica Grecia, ma anche il Palestina ai tempi di Gesù, il talento era il piatto della bilancia, un’unità di misura, più filosoficamente il peso che uno si portava addosso per tutti i suoi giorni. Nella parabola evangelica di Matteo, il signore che prima di partire consegna ai suoi servi i talenti da custodire punisce severamente quello dei tre che, al suo ritorno, non è riuscito a farli fruttare e per lui “sarà pianto e stridore di denti…”. Ciò significa che il talento non va sprecato e che senza tenacia, costanza e sacrifici non porta lontano, si arriva fino ad un certo punto e poi ci si ferma, ci si perde nell’illusione che i successi e la gloria comunque arriveranno quasi fossero dovuti . Sinner, come raccontano spesso gli allenatori che in questi anni lo hanno visto crescere, il suo talento lo ha quotidianamente coltivato e allenato. Che è la cosa più difficile. Chi il talento non ce l’ha in genere prova a supplire rimboccandosi le maniche, con il rigore, la perseveranza, la tenacia. Chi invece ha doti di natura spesso quella fatica non la fa, tende ad accomodarsi, a vivere di rendita. Ma il talento senza abnegazione serve solo a far screscere i rimpianti…