Si possono vincere in tanti modi i campionati del mondo ma così può vincerli solo Tadej Pogacar. Stavolta è partito a cento chilometri dall’arrivo. Cento chilometri di fuga per vincere un mondiale, per scrivere una storia già scritta per fare ciò che prima di lui hanno fatto solo Eddie Merckx e Stephen Roche, gli unici capaci nella stessa stagione di vincere Giro, Tour e mondiale. Ma alla fine chissenefrega dei paragoni, dei raffronti, delle figurine messe una di fianco  all’altra per capire ( cosa impossibile) chi sia il più grande, il più bravo, il migliore, chi l’avrebbe spuntata se fossero stati tutti in gruppo nella stessa epoca. Pogacar è Pogacar, unico e uno solo. Difficile dire se sia più talentuoso, più forte, più campione di altri perchè in questi pochi anni ( ne ha soli 25 ) di dominio ha dato una impronta talmente sua alle corse, alle vittorie, alle sconfitte (rare) e al suo essere testimonial di un ciclismo nuovo nell’atteggiamento tattico e non solo tattico che non può essere paragonato a nessuno. Pogacar attacca anche quando non dovrebbe, scatta anche quando potrebbe risparmiarsi, vince e stravince ma più  che un cannibale pare un “rivoluzionario” che stravolge i luoghi comuni del ciclismo di sempre.  E così fa oggi a Zurigo in questo mondiale “tosto” di 273 chilometri con quasi  4.500 metri dislivello, con  la  Zürichbergstrasse, una “salitaccia” al 17 per cento, da ripetere sette volte. Una gara lunga, come si addice a un mondiale, che dopo la partenza da Winterthur si pensava dovesse essere incerto, una sfida a due, forse a tre. E invece è  un mondiale con un uomo solo al comando, non con una maglia biancoceleste, ma verde con i colori della Slovenia. Un mondiale fantastico anche se senza storia. Fantastico perchè imprese così non si vedono quasi mai, anzi mai. Tadej Pogacar campione del mondo davanti all’australiano Ben O Connor e all’olandese Mathieu van der Poel. Gli altri lontani e dispersi, quasi non pervenuti a cominciare da un nervosissimo Remco Evenepoel che perde più tempo a mandare al diavolo chi non gli dà i cambi per rientrare che a pedalare per finire ai nostri azzurri, mai stati in gara. Ma questo non è  il mondiale degli altri ma di uno solo. Tadej Pogacar che all’arrivo ha la faccia stanca ma gli occhi giustamente felici: “Mi ero messo tanta pressione addosso per questo mondiale e l’avevo messa anche a tutto il team. Ad un certo punto la corsa ha preso un piega che non mi piaceva e ho pensato che dovevo fare qualcosa. Non sapevo bene cosa ma per fortuna alla fine ho fatto la cosa giusta. Negli ultimi chilometri ho pensato solo una cosa: non mollare…”. Vince così Pogacar. Ha vinto così le Strade bianche, ha vinto così al Giro al Tour. Quando decide parte e va . E il bello è cha arriva in questo suo ciclismo antico e modernissimo. Pogacar non è Eddy Merckx, Bernard Hinalt, Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Miguel Indurain, Stephen Roche o Marco Pantani perchè  è un campione assoluto figlio dei suoi giorni. Che senso hanno i paragoni a ritroso nel tempo? E’ cambiato tutto: bici, strade, alimentazione, allenamenti. E’ cambiata la cultura di uno sport che resta per fortuna ben radicato alla sua storia e ai suoi ricordi ma è capace anche di fare i conti con il tempo che passa e capire che tra i campioni di oggi e quelli di ieri c’è un mondo in mezzo. Non c’entra nulla ma non per un fatto tecnico, perchè pedala diversamente in salita, perchè è più forte a cronometro perchè domina anche le classiche, perchè oggi si corre con i caschi areo anzichè con le bandane. La differenza è solo nello sguardo. Oggi affaticato ma sempre irriverente e solare. Lo sguardo sereno  di uno che sta scrivendo un pezzo di storia del ciclismo con la leggerezza di chi non se la “tira” e sembra neppure prendersi sul serio. Ecco la differenza tra Pogacar e tutti gli altri forse è proprio questa: nè Cannibale, nè Pirata, nè  Tasso. Basta guardarlo negli occhi….