Sabato a Kona nelle Hawaii si corre la finale mondiale Ironman che, per chi non è del mestiere, è la madre di tutte le sfide per i triatleti di lunga lena, il sogno di una vista sportiva e non solo, la gara che per i professionisti vale una carriera. C’è parecchia “mitologia” intorno  a Kona, alle Hawaii, a questa finale mondiale nata ormai 46 anni fa per la follia di tre marines americani che,  dopo aver bevuto forse qualche birra di troppo in spiaggia, decisero di mettere insieme tre sfide già di per sè durissime come la Waikiki Roughwater, 2,4 miglia di nuoto più la Around Oahu Bike Race con 112 miglia in bici e la Honololu marathon con 26,6 miglia di corsa. Tutte di seguito, senza mai fermarsi. Sarà il primo Ironman della storia e ovviamente non l’ultimo perchè, in quasi mezzo secolo, l’Ironman di Kona è diventato cioò che è diventato, business compreso. Ma che sfida è Kona?. Una decina di anni fa, alla viglia di una sfida che vedeva al via il nostro Daniel Fontani, in una intervista al Giornale provò a darne spiegazione Fabio Vedana, coach tra i più preparati e apprezzati del triathlon ( e non solo del triathlon) internazionale. Passano gli anni, cambiano gli atleti, i materiali, l’alimentazione e anche le tecniche di allenamento ma Kona resta Kona. E forse è per questo che è un pezzo di storia.

“Correre un Ironman a Kona è diverso in tutto e per tutto. E se questa gara è diventata un mito per tutti i triatleti il motivo c’è…Il livello tecnico è altissimo, le difficoltà ambientali enormi e poi ci sono tutti i migliori al mondo con cui confrontarsi. Qui si diventa grandi. Diciamo che è l’ombelico del triathlon…>. Fabio Vedana sa bene cosa significa correre un campionato del mondo di Ironman alle Hawaii. E’ uno dei tecnici mondiali più apprezzati in circolazione. Ha seguito per anni gli atleti della nazionale svizzera di triathlon, poi  gli azzurri e anche quest’anno, come responsabile della Best Perfomance insieme con Simone Diamantini con cui lavora da 25 anni , ha portato alle Hawaii una bella pattuglia di atleti guidati dal capitano della Dds Daniel Fontana che domani proverà a giocarsela.

Perchè correre a Kona è così complicato?
“Intanto perchè  è una gara mitica…l’Ironman è nato lì ed è un campionato del mondo dove non ci possono andare tutti per motivi di spazio perchè più di tanti non ci si sta ma soprattutto perchè bisogna qualificarsi. E quindi ci si confronta con i migliori. E non capita spesso che tutti i migliori siano presenti allo stesso Ironman visto che al massimo un atleta ne corre un paio l’anno ”
E poi?
“E poi perchè le Kona, contrariamente a quanto si possa pensare parlando di Hawaii, è un posto inospitale. E’ il luogo peggiore per correre una gara così difficile…”
Si spieghi meglio…
“Il primo problema è il clima.  Anni fa  un mio atleta che doveva correre arrivò sull’ isola una settimana prima per acclimatarsi e dopo un paio di giorni mi chiamò quasi spaventato: “Ma qui siamo all’inferno- mi disse al telefono- Mi sono anche scottato le piante dei piedi….” . E in effetti è un po’ così e per chi non ci è mai stato l’impatto non è facile…”
Sì d’accordo ma siamo alle Hawaiii…
“Vero, ma il  problema è che in mezzo all’isola c’è un vulcano di 4mila metri che in qualche modo condiziona tutto il clima . Così correndo l’Ironman sui percorsi di bici e maratona in pratica si attraversano tutte e quattro le stagioni nella stessa giornata. Si passa dal caldo torrido, al clima tropicale e umido. Dal clima desertico nella zona dell’ Energy Lab dove non piove da anni a quello piovoso delle prime salitre in bici dove sembra di essere in Irlanda. Poi la polvere vulcanica e il vento cladissimo che soffia costantemente dal mare e che fa alzare le temperature anche oltre i 40 gradi. In certi tratti gli atleti si trovano a pedalare come se avessero davanti a loro un grande phon acceso sulla posizione più forte dell’aria calda…
Basta così?
“No, non è finita. Bisogna considerare anche che il percosro di bici non è mai pianeggiante ma quasi sempre vallonato e intorno al 90.mo chilometro c’è anche una salita abbastanza impegnativa. Certo è un a salita “americana” , non come le nostre dolomitiche, ma comuque impegnativa. E per finire va considerato che per gli atleti europei c’è anche il problema dell’acclimatamento: sono chiamati a fare il massimo sforzo fisico nell’orario in cui per venti o trent’anni solitamente il loro fisico è abituato a dormire”
Quindi una gara così come si preparara?
Diciamo che soprattutto si prepara facendola”
Impossibile vincere all’esordio?
“Di impossibile non c’è nulla ma è altamente improbabile. Nel 2007 ad esempio la triatleta inglese Chrissie Wellington si presentò al via quasi da sconosciuta e mise dietro tutti. Ma lei è davvero un’atleta straordinaria…”
Quindi esperienza conta più di tutto?
“Sì l’esperienza a Kona conta moltissimo ma ovviamente non basta perchè ci sono mille variabili…”
Cosa non si deve sbagliare?
“Per un atleta di vertice l’errore più grave è arrivare a questa gara un po’ spremuto. Qui servono ottima salute, tante energie e una carica mentale completa. Va fatto un buon periodo di acclimatamento ma soprattutto condizione psicofisica deve essere perfetta. NOn bisogna consumare energie nervose prima del via perchè durante la corsa sono fondamentali per superare le difficoltà che ci sono sempre. Se ti capità un primo inconveniente in genere lo superi perchè stai correndo a Kona, se però hai un secondo problema e non hai “scorte” mentali sufficienti qui molli…”