L’Ironman di Patrick ma anche di Gregory, di Sam e di tutti gli altri
E’ stato l’Ironman di Patrick Lange. Sette ore 35 minuti e 53 secondi, tanto è bastato al campione tedesco per vincere il suo terzo mondiale alle Hawaii con il tempo più veloce di sempre. Contano i numeri. Alla fine contano i numeri soprattutto quelli di una maratona corsa in due ore e 37 minuti che ha fatto la differenza, che gli ha permesso di risalire posizione su posizione fino a diventare imprendibile. Già perchè, sempre continuando con i numeri, il secondo, il danese Magnus Ditlev, è arrivato sette minuti e 46 secondi dopo ed anche questo è un record. Dopo che il 38enne di Bad Wildungen, aveva gioito, festeggiato, salutato, abbracciato e baciato moglie ed amici. E’ stato il mondiale di Patrick Lange ma non solo il suo perchè Kona e le Hawaii, per l’Ironman, sono la terra promessa di tutti i triatleti che vi trovano approdo, il mito che alimenta il sogno romantico di una vita e quello (un po’ meno romantico) di un montepremi che a chi vince consegna un assegno da 130mila dollari. Dettagli per la maggior parte degli atleti che passano da queste parti. E allora è stato l’Ironman del nostro Gregory Barnaby, decimo, ottavo, settimo e alla fine sesto in una gara straordinaria che lo incorona miglior italiano di sempre, che lo pone di fatto tra i grandi dove in realtà c’era già perchè ad agosto a Francoforte nell’Europeo,si era piazzato terzo, conquistando il pass per Kona. E non si sale mai su un podio per caso. Il trentatreenne di Sant’Ambrogio di Valpolicella in forza al 707 Team Minini, è rimasto sempre lì tra i migliori. Ha nuotato davanti, pedalato davanti, corso davanti guardandosi alle spalle e recuperando posizioni ad un passo dall’olandese Menno Koolhaas che sembrava alla portata ma che alla fine ha difeso il suo minuto con le unghie e con i denti. Ma quinto o sesto poco conta. Conta esserci a certi livelli e l’azzurro, in questo suo anno magico, ha dimostrato di poterci stare con i migliori migliorando l’ottavo posto dello scorso anno a Nizza, che sempre mondiale era, ma non era Kona, non erano le Hawaii, non era la terra nera dell’Energy Lab, non erano i drittoni infiniti che scendono e salgono e dove perdersi, fermarsi e arrendersi è davvero un attimo. E allora è stato, nonostante tutto anche il mondiale di Sam Laidlow, campione del mondo in carica, campione nonostante sia saltato per aria a metà della maratona, campione con il coraggio dei campioni che l’ha portato al traguardo diciottesimo a poco meno di mezz’ora da Lange senza più forze, sfinito, così vuoto da dover essere sorretto. E’ stata una gara drammatica la sua. Fantastica a nuoto, spettacolare in bici dove sembrava non far fatica, dove pedalava con l’eleganza di pochi, dove ha provato a fare la differenza rifilando minuti a tutti. Poi però la maratona gli ha presentato il conto ed è iniziato un tormento di cui probabilmente farà tesoro. E infine è stato il mondiale Ironman di tutti gli altri, fino all’ultimo, fino agli ultimi due che sul traguardo a notte fonda hanno trovato Lange ad accoglierli e a premiarli dopo quindi ore e rotti minuti… Finire un ironman è un’impresa, finirlo a Kona vale doppio perchè qui c’è la storia di questo evento che oggi diventato business, perchè qui ci sono tutte le difficoltà di un mare, di un tracciato e di un’isola che rendono tutto più complicato e, forse proprio per questo, più bello e affascinante. Qui c’è un sogno da andare a conquistare…Costi quel che costi.