“Devi solo morire un po’ meno degli altri…. ” Così Jan Frodeno, poche settimane prima del via, aveva detto a Gregory Barnaby che si preparava a correre la sua prima finale mondiale Ironman a Kona nella Hawaii. E non è difficile capire il perchè certe frasi, a volte, ti restino impresse nella mente, quasi fossero una premonizione. “E’ stata la gara più difficile che abbia mai fatto in 20 anni di triathlon- racconta l’azzurro sui suoi social- Una sfida crudele…Ho fatto un nuoto in controllo, una bici a ritmi altissimi con vento e caldo e all’inizio la maratona sembrava andar bene. Poi , dopo aver girato sulla Queen K,  il punto di ristoro mi è sembrato all’improvviso incredibilmente lontano, mi sentivo bloccato nel deserto, alla disperata ricerca di acqua. Durante quei 5-10 chilometri ho toccato il fondo, ho iniziato a lottare con i miei demoni mentre altri atleti mi sorpassavano. Quando abbiamo girato a sinistra verso l’Energy Lab, un paio di docce di acqua fresca e qualche faccia conosciuta che mi incitava mi ha fato dato una spinta. Ho resettato la mia mente e, per fortuna, le mie gambe hanno  ripreso a rispondere…”. Cronache dalle Hawaii.  Cronache di una sfida che ha portato il 33enne veronese di  Sant’Ambrogio di Valpolicella in forza al 707 Team Minini a colorare d’azzurro una finale vinta dal tedesco Patrick Lange che in 7 ore 35 minuti e 53 secondi si è messo in testa la sua terza corona mondiale. C’è molto azzurro perchè, con una gara da incorniciare, Barnaby  si è piazzato sesto assoluto in 7:48:22 firmando così la miglior prestazione italiana di sempre. Il  trentatreenne veronese , è rimasto sempre lì tra i migliori: decimo, ottavo, settimo e alla fine sesto . Ha nuotato davanti, pedalato davanti, corso davanti guardandosi alle spalle e recuperando posizioni ad un passo dall’olandese Menno Koolhaas che sembrava alla portata ma che alla fine ha difeso il suo minuto scarso  con le unghie e con i denti. Ma quinto o sesto poco conta. Conta esserci a certi livelli e l’azzurro, in questo suo anno magico, ha dimostrato di poterci stare con i  migliori migliorando l’ottavo posto dello scorso anno a Nizza, che sempre mondiale era, ma non era Kona, non erano le Hawaii, non era la terra nera dell’Energy Lab dove, tra vulcano e deserto si raggiungono temperature assurde, non erano i drittoni infiniti che scendono e salgono e dove perdersi, fermarsi e arrendersi è davvero un attimo. Barnaby, allenato da tre anni ormai dal tecnico Luca Zenti,  vanta oltre 55 presenze nella nazionale azzurra di triathlon sulle distanze più brevi ed ha ha debuttato nella distanza Ironman nel novembre di due anni fa in Israele con un terzo posto che gli è valso, già allora, la miglior prestazione italiana in 7h47’02”, abbassando il il precedente limite che apparteneva ad un mostro sacro del nostro triathlon come Daniel Fontana (8h05’48”). Due anni di gran lavoro che hanno portato il veronese a Kona, pochi giorni fa a ben figurare tra i grandissimi. “Sono davvero felice del mio risultato e orgoglioso della mia performance- spiega su Facebook-  È il mio quinto Ironman, e mi sento privilegiato di essermi sempre classificato tra i primi 10, il che mi dà fiducia e fame di altro. Le mie ambizioni su quest’isola non sono finite, e sono sicuro che il meglio deve ancora venire. Ora, sono concentrato a riprendermi il più velocemente possibile, poiché la classifica aggiornata ProSeries mi incoraggia a correre di nuovo tra qualche settimana al 70.3 in Australia Occidentale.  Le Hawaii, le migliaia di volontari, i colleghi concorrenti, tutti i partecipanti e i loro sostenitori, e l’intera organizzazione Ironman hanno reso questa esperienza indimenticabile. Non vedo l’ora di tornare”.