De Gendt correrà in gravel: cambia tutto, non cambia nulla…
C’è sempre una nuova strada. C’è sempre una nuova via soprattutto per uno che è abituato a scartare di lato, a pedalare da solo, controvento, ad andare in avanscoperta. Così è Thomas De Gendt. Ora la sua strada diventa più accidentata: poco asfalto, più sterrato, molti più sassi. Il 38enne belga di Sint-Niklaas, la città più importante della regione fiamminga del Waasland, tra le Fiandre orientali e la provincia di Anversa che ha annunciato quest’anno il suo ritiro dalle competizioni non scende di bici. Sale su un’altra bici, più o meno la stessa, magari con le ruote un po’ più gasse, magari con meno carbonio, magari meno veloce, ma sicuramente più audace, resistente, meglio disposta all’avventura. Correrà per la Classified, un’azienda belga specializzata in cambi interni al mozzo, che partecipa ufficialmente alle gare gravel UCI World Series e a sfide come l’Unbound o la Gravel Tierra de Campos, corse infinite, un po’ da folli, perfette per lui. Cambia lo scenario ma il modo di interpretare il ciclismo di questo belga un po’ anarchico che ha sempre pedalato in direzione ostinata e contraria, resterà lo stesso: c‘è da scommetterci. La sua è stata spesso una fuga infinita, fuori dal gruppo contro ogni logica, ogni tattica, ogni speranza. C’è un’idea di ciclismo d’attacco, un po’ ribelle, d’avanguardia, da romantico e scapigliato nel suo pedalare apparentemente scriteriato fatto di assoli, di allunghi estenuanti in salita, di furibonde “menate” pianeggianti. Che però entusiasma, fa sognare, che istintivamente ti porta a fare i tifo per lui. Due tappe al Giro d’Italia, due tappe al Tour de France, una alla Vuelta quasi sempre raccontate come il ciclismo ama che si raccontino. Messo nero su bianco dal giornalista Jonas Heyerick, nella biografia “Solo” tradotta e pubblicata qualche tempo fa da “alVento”. Carta canta. Ma non solo in corsa perchè la bici è lavoro ma anche un modo di vivere e di divertirsi: sali in bici quando vuoi per tutto il tempio che vuoi. Sembra un mantra. E allora anni fa, dopo il Giro di Lombardia, De Gendt si era inventato “TheFinal Breakaway” , l’ ultima fuga, un viaggio da Como, dove si era appena conclusa la stagione agonistica, a Semmerzeke a casa sua in Belgio in compagnia del suo compagno di squadra di allora alla Lotto Soudal Tim Wellens. Mille chilometri in sei giorni, così per puro diletto, per vivere un ciclismo che smette di essere un lavoro e diventa tante altre cose. Un viaggio, luoghi, chiacchiere, soste, birre, passione e fantasia. La voglia di uscire dal gruppo, dai calcoli e dalle tattiche. Il coraggio di sconvolgere il branco e di andare in fuga che resta comunque la sola incognita capace di sovvertire il pronostico più scontato, che ti fa sempre stare dalla parte di chi sai che ha poche o nulle possibilità di farcela. “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare” scriveva anni fa il filosofo francese Henri Laborit. “Quando non si può più lottare contro il vento e il mare per seguire la rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva o la fuga davanti alla tempesta che, quando si è lontani dalla costa, è spesso il solo modo di salvare barca ed equipaggio…”. E che sia in strada o su uno sterrato in sella a una gravel per uno come De Gendt poco cambia…