Una decina di cose che si imparano nelle Fiandre (e alla Roubaix)
Poi vai nelle Fiandre o sulle strade della Roubaix e capisci in fretta un sacco di cose. La prima è che non è così vero che qui con la bici fai ciò che vuoi, che sei un idolo sacro che non si tocca, che il rispetto, la sicurezza etcetera etcetera. In bici qui si pedala sulle ciclabili, punto. Dove ci sono le piste bisogna usarle sia che si pedali su una Graziella sia su un bolide in carbonio da 10mila euro. Non fa nessuna differenza che si stia andando a fare la spesa oppure ci si stia allenando, oppure stia correndo la “Ronde” il giorno prima dei professionisti: lì sopra si deve andare. E ne sa qualcosa anche Tom Boonen, uno che il Fiandre l’ha vinto tre volte e quattro la Roubaix, che qualche anno fa pescato a pedalare sulla strada era stato multato senza pietà. In sintesi: se uno pedala sulle ciclabili non corre davvero alcun rischio, altrimenti ti vengono addosso senza tante storie.
Anche perchè, è questa è la seconda cosa che si impara in fretta da queste parti, i ciclisti vengono rispettati come utenti a pieno titolo della mobilità se a loro volta fanno lo stesso. Quindi quando hanno la precedenza le auto si fermano, quando c’è un semaforo idem, e mai e poi mai trovi un mezzo anche per un secondo posteggiato su una ciclabile ( qui il “ma io sto lavorando…” non esiste). Nei tratti in cui le ciclabili non esistono le auto stanno al loro posto: non superano a prescindere, ma solo quando dall’altra parte della carreggiata non arriva nessuno e cosi non ti sfiorano. Claclson e insulti non se ne ho sentono.
La terza cosa che si impara in fretta quando si viene in queste terre di ciclismo è che il ciclismo è una fede, una passione che si tramanda, una vera e propria religione che ha il suo Natale proprio nei giorni della Ronde van Vlaanderen e della Roubaix. Non è solo una festa. E’ un popolo che fa festa. I bus per andare sui muri intorno ad Oudenaarde, dove per un week c’è un vero e proprio esodo di massa, sono gratis. A bordo salgono tutti: mamme, papa, nonni e bambini coperti dalle cerate ognuno con la sua seggiolina da campo. Salgono frotte di ragazzi e ragazzi con le buste dei supermercati zeppe di cose da mangiare e soprattutto da bere. E soprattutto birra. Poi decidono dove aspettare la gara, decidono dove fare il tifo per Wout Van Aert ma anche per tutti gli altri forse un po’ meno solo per Mathieu Van der Poel. E lì stanno. Passano la giornata lì. Tra griglie, salsicce, barbecue con tanta, ma davvero tanta , cipolla in una happening popolare, alcolico ma comunque pacifico. Non è bello vedere gente ubriaca, mette sempre un po’ a disagio ma sul Kwaremont, sul Paterberg sui tanti tratti di pavè del Fiandre non ha mai la sensazione che possa succedere qualcosa di brutto, che scoppi una rissa…Magia del ciclismo che mette tutti d’accordo.
L’età media è bassa, davvero bassa. E questa è la quarta cosa che si impara e fa riflettere. L’età media dei tifosi ad una tappa al Giro d’Italia è abbondantemente sopra i cinquant’anni, da questa parti invece non arriva ai trenta. E così forse si spiega un po’ anche perchè dalle nostre parti il ciclismo è uno sport dove, tolto Filippo Ganna di campioni e campioncini all’orizzonte si fa fatica a vederne.
Quinta cosa che si impara alle Fiandre e alla Roubaix è che il ciclismo è uno sport di fatica e ma queste parti lo è un po di più. Nono sono solo pavè e i muri ad alzare l’asticella, la differenza la fa il meteo. Tranne forse quest’anno, generalmente piove e fa freddo e il bello è che nessuno si lamenta. Anzi. Sono tutti e felici e contenti perchè meteorologicamente parlando quelle sono le giornate perfette per correre, mattinate grigie e cupe, con non più di sei-sette gradi, con una pioggerellina leggera sbattuta in faccia dalle raffiche di vento. Punti di vista. Poi cominci a pedalare verso lo spettacolo che sono le case, le strade e le campagne di questo pezzo di mondo e capisci al volo come intendono qui la bici e soprattutto una “corsa” di bici.
La sesta cosa che si impara e che pedalano tutti. Giovani e meno giovani. Pedalano su ogni cosa abbia manubrio, ruote e catena senza pensarci troppo: bici da passeggio, mountainbike, city bike, vecchi arnesi, negli ultimi anni anche e-bike.
C’è il culto della bici ma non la venerazione della bici ed è la settima cosa che si capisce non appena inizia il pavè. Chi tiene la bici in salotto come una reliquia appena comincia a sobbalzare sulle pietre vibrando, scricchiolando, sbattendo, forando forse “maledice” d’averla portata con sè. Per i belgi, ma anche per i francesi pare un po’ diverso. Vengono per pedalare da queste parti solo per il gusto di esserci e di non perdersi uno spettacolo unico. Con che bici lo facciano è solo un dettaglio. Perchè la bici è il mezzo, ma sul serio non a chiacchiere.
Quelli che in bici si danno più arie siamo soprattutto noi italiani ed è l’ottava cosa che si impara. Non passiamo inosservati: firmati, depilati, ipertecnici, tabellati, pronti a fare tempi e kom, pronti a rimirarsi in ogni vetrina, pronti a giocarsela con tutti perchè guai a star dietro. Se non fosse per l’età, per qualche chilo di troppo saremmo tutti professionisti. Che poi Pogacar e compagni li vedi salire sul Paterberg e capisci che quello è un mondo davvero tanto distante e che c’è un’età per ogni cosa. Belgi, inglesi, tedeschi, francesi ( si anche i cugini francesi) se la tirano davvero meno, pedalano più di sostanza, su bici con i parafanghi, vestiti come capita, qualcuno anche con le scarpe da jogging fissate nelle gabbiette: che quando poi ti passano fai finta che ti è caduta la catena.
La nona cosa che si impara alla Fiandre e sulle strade della Roubaix è che qui il pavè è sacro. Nulla di nuovo. E’ una vita che lo conservano. Conservano le pietre, le tengono da conto, c’è una squadra di storici che le cataloga e una squadra di tecnici che fa manutenzione. Non è un “fissa” ma un lungimirante modo di coccolarsi i luoghi, la storia, il patrimonio che diventa tradizione. Insomma un investimento. Hanno capito da sempre che, oltre al Fiandre e alla Roubaix che per una settimana portano un mondo di appassionati, da queste parti che c’è un business che permette a zone fantastiche ma prevalentemente agricole di diventare turitiche quasi per tutto l’anno, con percorsi segnati, musei aperti, piccole locande che cucinano, danno ospitalità e che comunque anche cosi lavorano. Non solo. Se proteggono il loro pavè proteggono anche il loro territorio che è ciò che in Italia ha capito da tempo, ma con qualche difficoltà in più, Giancarlo Brocci con l’Eroica e che con le strade bianche ha fatto più o meno la stessa operazione di promozione di cultura e di territorio in Toscana.
Ultima cosa che si impara sulle strade delle Fiandre e della Roubaix è che a volte ciò che sembra complicato è più semplice di ciò che si pensi. A Roubaix c’è uno dei velodromi più famosi al mondo. Forse non è il più bello ma poco cambia. Arrivi in bici, pedali verso uno di quei “monumenti” che hai visto mille volte in tv, dove hai visto trionfare tutti i più grandi, dove ha scritto la storia Franco Ballerini, dove ha vinto Sonny Colbelli prima di smettere all’improvviso e pensi che sarebbe fantastico mettere le ruote della tua bici su quel cemento. Non serve pensare, non servono autorizzazioni, non serve essere iscritto ad una società ciclistica, non serve compilare liberatorie, non serve un modulo, un appuntamento, un biglietto d’ingresso. Entri e pedali insieme con un sacco di ragazzi che fanno sport. Fine. Noi in Italia moriremo di burocrazia. E questa è l’ultima cosa che si impara da queste parti…
