Lo vedi alle interviste dopo l’arrivo e ti colpisce per quell’aria un po’ sgarrupata e scanzonata di chi sa di averla fatta grossa…: “Ci ho creduto ed ora sono felice…” racconta Ben Healy che oggi a Vire in Normandia ha vinto, con una delle sue fughe improbabili, la sesta tappa del Tour salutando i compagni con cui era partito in avanscoperta a 41 chilometri dal traguardo. “L’avevo cerchiata  perchè mi sembrava la Liegi- spiega- Avevamo deciso fin dall’inizio di provare a vincere qui. E questa è una di quelle giornate che sogni da bambino anche se in verità da bambino non speravo davvero”.

E forse non lo pensavano neppure i suoi compagni di fuga quando lo hanno visto partire più preoccupati forse di capire cosa decidesse di fare Mathieu van Der Poel che di andargli dietro. E allora se la sono presa un po’ comoda. Forse troppo. Così chilometro dopo chilometro il distacco è salito: venti secondi, trenta, cinquanta, un minuto, un minuto e mezzo, addio… Ben Healy in bici non sembra uno che va forte.  Lo vedi pedalare e non gli dai due lire. Anzi due sterline irlandesi visto che Ben Healy, nato 24 anni fa a Kingswinford nelle Midlands occidentali inglesi a 5 miglia da Dudley, in realtà è irlandese perchè irlandesi sono i suoi suoi e lui ha preferito il passaporto di famiglia pensando che in Irlanda avrebbe avuto più possibilità di pedalare e farsi notare che non in Inghilterra.

Capelli arruffati, barba lasciata andare, orecchini,  sorrisetto furbo di chi non si capisce bene se sia più timido o già la sappia lunga, uno così te lo aspetti di più in un pub del Donegal o a un concerto dei Pogues o dei Waterboys. Invece te lo ritrovi al Tour e lo riconosci da lontano perchè in bici non è un esempio di stile. Anzi pedala male, proprio male. E’ tutto storto, sta con i piedi larghi, si alza, si risiede, scatta, si agita con le spalle, scatta di nuovo. Oggi sulla penultima Cote di Vaudry saliva a zigzgag, sembrava quasi sul punto di fermarsi e invece andava forte, parecchio forte tant’è che da dietro dopo che a inseguirlo ci hanno anche provato hanno alzato bandiera bianca. Nel ciclismo a cui ci stanno abituato oggi Pogacar e fenomeni, quarantuno chilometra di fuga non sono un record. Però bisogna farli, bisogna avere il coraggio o l’incoscienza di provarci, bisogna aver chiaro in testa che ci sara da far fatica, che ci sono parecchie possibilità di non riuscirci, che potrà andar male, che sarà solo uno spreco di energie…

Ma Ben Healy è uno di quei corridori che ha l’allergia a stare in gruppo e queste cose le mette sempre in conto. Però appena può se ne va da solo. Sembra che scatti perchè qualche centinaio di metri più avanti ha appuntamento con i parenti da salutare, e poi non lo prendi più.  Sembra uno che sia su una bici per caso tant’è che, anni quando aveva cominciato a correre in mountainbike i tecnici irlandesi della sua squadra di allora gli avevano fatto intendere che non era cosa e lo avevano scartato. Ma la fine spesso è un nuovo inizio e così il giovane irlandese aveva pensato (bene) di provarci in strada incoraggiato da Martin O’Loughlin l’uomo che ha ricostruito il ciclismo della nazionale irlandese. L’aveva preso in parola vincendo la Ronde de l’Isard in Francia, considerata una delle migliori gare under 23 al mondo, e un tappa al Tour de l’Avenir. Poi sono arrivati la Zappi, il contratto con la Trinity e, tre anni fa, quello da professionista con la Education First. Lo scorso anno ha vinto una tappa al Giro, oggi ne ha vinta un’altra al Tour. E per uno che pedala male, non è male, al di là dei giochi di parole…”