“Voglio dedicare questa tappa a Samuele Privitera e alla sua famiglia. È la prima cosa che ho letto stamattina, ci stavo pensando nel finale a quando può essere duro questo lavoro e pericoloso…”. Così Tadej Pogacar alla tv francese dopo la vittoria della dodicesima tappa del Tour de France con l’arrivo in salita ad Hautacam sui Pirenei. Bel gesto del fuoriclasse sloveno che dedica il suo successo di tappa al diciannovenne imperiese morto ieri dopo una caduta al Giro della Valle d’Aosta. Un gesto sincero, venuto dal cuore dopo che, prima della partenza, tutto il Tour si era fermato per salutare con un un minuto di applausi il corridore della “Hagens Berman Jayco”.  Con la tristezza che diventa più palpabile quando qualcuno se e va,  con la paura che si fa più densa quando ti accorgi che correre in bici è un mestiere pericoloso, quando fai i conti con la vita.  Ma poi si riprende a pedalare. Il Tour va e sale da  Auch ad Hautacam,  3850 metri di dislivello, quattro gran premi della montagna, uno di quarta categoria, uno di prima, uno di seconda e la salita finale di hors catégorie. Tadej Pogacar fa un altro sport.  A una decina di chilometri dalla cima se ne  va e arriva con 2’10” sul danese Jonas Vingegaard  e 2’23” sul tedesco Florian Lipowitz . Ma Pogacar che si riprende la maglia gialla, che ora in generale ha tre minuti e mezzo sul danese, primo dei normali,  che si prende il Tour e una rivincita proprio su una salita dove tre anni fa aveva preso una lezione, è un racconto che va oltre la cronaca.  Il suo è un ciclismo antico e modernissimo. Non è Eddy Merckx, Bernard Hinalt, Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Miguel Indurain, Stephen Roche o Marco Pantani perchè  è un campione assoluto figlio di questi giorni giorni. Che senso hanno i paragoni a ritroso nel tempo? E’ cambiato tutto: bici, strade, alimentazione, allenamenti. E’ cambiata la cultura di uno sport che resta per fortuna ben radicato alla sua storia e ai suoi ricordi ma è capace anche di fare i conti con il tempo che passa e capire che tra i campioni di oggi e quelli di ieri c’è un mondo in mezzo. Non c’entra nulla ma non per un fatto tecnico, perchè pedala diversamente in salita, perchè è più forte a cronometro perchè domina anche le classiche, perchè oggi si corre con i caschi areo anzichè con le bandane. La differenza è solo nello sguardo. Oggi affaticato ma sempre irriverente e solare. Lo sguardo sereno  di uno che sta scrivendo un pezzo di storia del ciclismo con la leggerezza di chi non se la “tira” e sembra neppure prendersi sul serio. Ecco la differenza tra Pogacar e tutti gli altri forse è proprio questa: nè Cannibale, nè Pirata, nè  Tasso. Basta guardarlo negli occhi. Che oggi erano sì felici ma anche un po’ tristi. Perchè un ragazzo di 19anni che amava la bici come lui purtroppo non c’è più…