Più di così Jonas Vingegaard non può fare. Umanamente non si può di più e ciò che manca, ciò che solo Tadej Pogacar può permettersi, appartiene ad un latro mondo, un altro pianeta probabilmente di marziani. Da qualsiasi parte lo prendi il Mont Ventoux è spettacolo puro. E’ spettacolo quel paesaggio lunare di sassi e ghiaia che accompagna la processione dei corridori all’Osservatorio; è spettacolo la folla di tifosi;  sono spettacolo la luce, il vento, i colori che sembrano una foto in bianco e nero ma che invece sono il ritratto a colori di un ciclismo magnifico.

E’ spettacolo il duello rusticano tra  Ben Healy e Aurelien Paret Peintre che alla fine la spunta dopo scatti e controscatti che a quasi duemila metri sono stilettate per i muscoli e per l’anima. Ed è soprattutto spettacolo il testa a testa tra Vingegaard e Pogacar, due giganti sul Monte dei Giganti, due fuoriclasse che ad uno ad uno recuperano i corridori che hanno davanti passandoli a velocità doppia come fossero degli amatori.

C’è vento per salire sul Ventoux, c’è sempre vento anche se il suo nome forse non c’entra nulla col vento perchè il Gigante della Provenza per qualcuno non si chiama cosi perchè “venteux”, cioè ventoso ma perchè “ventur” che in occitano significa che si vede da lontano. Poco conta per chi pedala.  I conti si fanno negli ultimi 12 chilometri dopo una pianura di avvicinamento, dopo una fuga che fa in fretta a perdersi per strada anche se poi in qualche modo qualcuno arriva.

Ma tutti cercano Jonas e Tadej. Più il danese forse che oggi, ma probabilmente anche nei prossimi giorni, vuole prendersi la scena, vuole provare a scalfire la faccia serena da ragazzino in gita dello sloveno che sembra non far mai fatica. E allora la Visma gli sgretola un po’ di certezze, fa una corsa dura che lascia per strada ad uno ad uno tutti gli scudieri del re. Prima Wout Van Aert, poi Sepp Kuss, poi Tiesij Benoot e alla fine  Victor Campenaerts si danno il turno a tenere un ritmo folle a cui si aggancia il loro capitano con Pogacar incollato a ruota.

Vingegaard fa tutto il resto, fa tutto ciò che può, tutto ciò che nel mondo degli umani gli permetterebbe non di vincere ma di stravincere. Uno, due, tre quattro scatti convinti e potenti che però nulla possono se non minare la sua volontà. Uno, due, tre quattro scatti con gli occhi concentrati e spiritati, col cuore in affanno un po’ come nel Trecento scriveva Francesco Petrarca nella lettera “A Dionigi da San Sepolcro dell’ordine di Sant’Agostino e professore della Sacra Pagina…” quando sali sul Monte Calvo. Che però nulla c’entra, almeno oggi.

Così per gli ultimi cinque chilometri. Così nella prima parte di bosco, tra i cedri e poi volando verso l’Osservatorio. Non cambia nulla. Non cambia nulla neanche oggi. Tadej Pogacar ha in tasca il suo quarto Tour de France i bookmakers offrono il suo poker in giallo a 1,04 nelle quote. Vingegaard a quattro minuti viene invece quotato a 13  il che significa che le sue possibilità di vincere per la terza volta la Grande Boucle sono poche, quasi nulle. Ma ci sono ancora salite e ce ancora strada da fare e , se il danese è quello visto oggi, un euro sulla sua vittoria si potrebbe anche puntare.