L’ “Ultimo Ballo” di Geraint Thomas è andato in scena qualche settimana fa Cardiff nella costa sud del Galles città di fabbriche, porti , naviganti e minatori ma anche di ciclisti. Aveva le note rock di un pezzo di  Massimo Priviero, cantastorie senza di tempo che con la sua musica ha meglio di tanti saputo raccontare la forza e al tempo stesso la fragilità che appartiene ad ognuno di noi. Nessuno escluso. Il ciclismo di Geraint Thomas, che  è sceso di sella nell’ultima tappa del Tour Of Britain,  è un rock gaelico dalle note gonfie e a volte struggenti che confonde le armonie dei tin whistle,  di chitarre e fisarmoniche,  di cori gospel che riportano alle facce insospettabili di rivoluzionari della musica come i Chieftain o van Morrison, un paio, così a caso.

Il ciclismo di Geraint Thomas è rock, è stato in tutti questi anni questa musica qui, colonna sonora perfetta per grandi vittorie grandi sconfitte, grandi imprese su strada su pista e anche grandi cadute, molte vere e proprie, di quelle che lasciano i segni sulla pelle e sulle ossa. Mai scontato e mai banale, non un campionissimo ma sicuramente un campione che spesso si è trovato a dover pedalare più forte della “sfiga”.  Anni fa, nel 2015, tanto per fare un esempio, quando fu costretto a dare forfait ai mondiali di Richmond per una caduta la prese con filosofia:  “Pazienza- scrisse sui suoi canali social- mi guarderò i mondiali di rugby e penserò al mio matrimonio, non necessariamente in quest’ordine…”. E così fu: gli All Blacks vinsero il titolo con suo sommo dispiacere e lui convolò a giuste nozze con la bella Sara che da allora è sempre al suo fianco in ogni cosa e in ogni corsa che fa.

Storia strana quella di questo gallese di 39 anni che la Regina Elisabetta  anni fa ha nominato Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico  per meriti ciclistici.  Prima nuotatore, poi rugbysta nella squadra della sua scuola a Whitchurch,  poi pistard per tre volte campione del mondo e per due volte oro olimpico a Pechino e a Londra, poi gregario di Chris Froome  e poi sette anni fa cristallino vincitore del Tour de France.  Storia strana  che l’ha portato a vincere anche  un Giro del Delfinato, un Giro di Romandia, un Giro di Svizzera ma meno di quello che avrebbe potuto probabilmente perchè così era scritto nel suo destino.

Ad esempio nel 2020 al Giro dove era tra i favoriti. Dopo tre tappe aveva rifilato oltre un minuto a Vicenzo Nibali ma in un trasferimento aveva preso con una ruota una borraccia ed era tornato a casa con il bacino fratturato.  Sempre al Giro, sulle strade d’Abruzzo nella tappa del Blockhaus  era finito a terra anche nel 2017 in una carambola contro la moto di un poliziotto ferma a bordo strada così come  nel 2005 quando in Australia era atterrato nuovamente sull’asfalto dopo un volo provocato da un pezzo di bici che si era staccato da quella di un suo compagno di squadra e che gli era costato  l’asportazione della milza. O come quando al Tour quando aveva sbagliato in pieno una curva  in discesa e non era finito in un scarpata solo perchè era andato a sbattere rovinosamente contro un palo che provvidenzialmente lo aveva fermato.  Nella sfiga anche un po’ di fortuna. Robe da ciclisti. Ma Thomas si è sempre rimesso in piedi è sempre ripartito dalle cadute e dalle sconfitte. Alcune sonore come quella di tre anni fa al Giro quando aveva dovuto consegnare una maglia rosa già vinta  nelle mani di Primoz Roglic che lo aveva battuto per 14 secondi nell’ultima crono del Monte Lussari  forse anche perchè, prima di iniziare la salita, il “Signor G” ebbe la malsana idea di fermarsi a cambiare la bici e e anche il casco.

A Cardiff ha pedalato al fianco dei ragazzi della Maindy Flyers, la sua prima squadra di ciclismo e al suo figlioletto. Ha ricevuto l’omaggio di tutto il gruppo che lo ha salutato alzando le bici e lasciandogli una passerella degna di un campione. Fine, emozione e lacrime. Fine ma non del tutto perchè il gallese resterà alla Ineos con un ruolo manageriale occupandosi, con tutta probabilità, della gestione del settore giovanile. E forse non si fermerà del tutto.  Un paio di anni fa ad un giornalista di Cycling news che gli chiedeva che intenzioni avesse dopo il ritiro rispose senza tante esitazioni:  “Quando mi ritirerò dal mondo del ciclismo professionistico voglio sicuramente affrontare un Ironman.  O forse più di uno a cominciare da quello in Galles. Penso proprio che avrò bisogno di qualcosa da fare…”. E che il triathlon fosse nei suoi pensieri e nelle sue corde lo aveva confermato anche il suo amico ed ex compagno di squadra Cameron Wurz  che con lui si è allenato per anni agli ordini del preparatore del team Ineos Tim Kerrison: “Sa nuotare, ovviamente va forte in bici ma corre anche a 3 e 40 al chilometro, quindi…”.

Quindi la porta è aperta anche se non si sa ( e non è detto) che il gallese dalla faccia e i basettoni da beatle deciderà di aprirla. Ma a Cardiff, dalle sue parti, vivono anime inquiete. Come quella che narra di un cavaliere che vaga per le rovine del Castello di Raglan alla ricerca della sua anima, spirito che non trova pace e che si dice appartenesse a Sir Charles Somerset morto durante la Guerra civile inglese. Si dice che il fantasma appaia nelle notti di luna piena, vestito del suo mantello svolazzante e brandendo una spada insanguinata. E c’è chi giura di averlo visto in sella ad una bici da corsa…