C’è Davis e Davis e questa piace un po’ di più
Per carità: è cambiato il mondo, è cambiato lo sport, sono cambiati i campioni che ormai sono meccanismi di ingranaggi costosi e complessi con agende più fitte di quella di un capo di stato. Atleti che competono esclusivamente per vincere, che fanno fatica a pensare di presentarsi ad un appuntamento se non sono al cento per cento, che non prendono neppure in considerazione l’idea di partecipare se le percentuali di vittoria non sono consistenti. E si può capire. Però fa un po’ strano sapere che un’influenza, la stanchezza, un’indisposizione possano valere la rinuncia a un’olimpiade, a un mondiale, alla maglia di una nazionale.
E’ sempre stato così? Forse no, ma in molti casi è così adesso. Però non si vive solo di contratti e di sponsor. Ad un certo livello la programmazione è tutto se si vuole restare al comando e quasi sempre bisogna fare delle scelte. Resta però l’emozione dello sport, le vittorie che non portano a firmare grandi assegni ma che restano nell’immaginario dei tifosi per sempre. E la vittoria della quarta Coppa Davis azzurra, la terza di fila, questo è. Un concentrato di “passione” pura che, con tutte le precisazioni del caso, ricorderemo per sempre. Come la prima Davis in Cile di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli, come la vittoria in maratona di Stefano Baldini ad Atene, come Enzo Bearzot che dà un bacio a Dino Zoff dopo sul prato del Bernabeu dopo aver vinto un mondiale.
Certo, questa Coppa Davis non è “quella” Coppa Davis che ha rappresentato da sempre il sogno di ogni tennista. Ieri in finale in campo Italia e Spagna hanno giocato senza i loro primi due singolaristi e così le altre nazionale che si sono presentate, tranne la Germania con Alexander Zverev, senza i migliori. Ma tant’è. La magia che si è vissuta ieri a Bologna solo la Davis la può regalare. Solo la Davis riesce a trasformare uno sport di singoli, pieno di silenzi, di tic, in uno sport di squadra con capitani che parlano, suggeriscono sostengono e panchine che fanno tifo da ultrà.
Solo la Davis è capace di cambiare i valori in campo, sovvertire i pronostici, sorprendere. Nessuno dei moschettieri che ieri hanno tenuto in Italia ( rompendola durante la premiazione tra l’latro) la terza Davis consecutiva lo ammetterà mai ma questa è l’insalatiera più bella, la più eroica. Volandri, Berrettini, Cobolli, Sonego, Vavassori e Bolelli sono la classe operaia che va in paradiso, sono la prova che nello sport ( ma in genere nella vita) il coraggio premia chi c’è, chi scende in campo, chi si mette in gioco, chi ci prova anche se non ha certezze di vittoria. Chi non c’è non ha mai ragione, non è invitato.
E allora, leggendo i giornali oggi, fa un po’ sorridere chi su questa vittoria vuole metterci in tutti i modi la benedizione di Jannick Sinner ( e un po’ anche di Lorenzo Musetti) che avrebbe rinunciato a essere della partita perchè super convinto che i suoi compagni-amici ce l’avrebbero tranquillamente fatta da soli, perchè avrebbero finalmente avuto la chanche per dimostrare quanto valgono. Può essere. Ma oggi (ieri) la festa è qui. A Bologna, nella Supertennis Arena, per chi c’era, per chi ha giocato, per chi ha tifato, sofferto, trattenuto il fiato. Sui volti dei papà, dei tifosi, dei tecnici azzurri, degli sconfitti spagnoli, sui volti di un gruppo di ragazzi che magari negli slam non andranno in finale, ma hanno scritto una pagina di sport azzurro che rimarrà per sempre. C’è Davis e Davis: è questa ci piace un po’ di più…
