La Maratona di Firenze e il buon sapore nel ricordo di un caffè…
Si è corsa stamattina la maratona di Firenze. edizione numero 41. Ha vinto l’azzurro Badr Jaafari con il tempo di 2h09’58”, seguito dall’etiope Negawo Asnake Dubre, al traguardo in 2h11’22”, a sua volta tallonato dal keniano Ishmael Chelanga Kalale terzo con 2h11’33. Tra le donne vittoria dell’etiope Tsega Desta Mheari che al km 40 ha preso il comando per andare a chiudere in 2h30’37”, in netto vantaggio sulla keniana Betty Jematia Chepkwony, seconda in 2h33’25”. Chiude in terza posizione un’altra keniana, Sofia Jebiwott Chesir in 2h35’40” che aveva condotto la gara proprio fino al 40/o chilometro. La Maratona di Firenze è la seconda maratona italiana per numero di partecipanti (15.000) dopo quella di Roma. E fin qui la cronaca. Ma al di là della cronaca la Firenze Marathon resta una delle maratone più affascinanti, per ciò che è, per la bellezza delle città che attraversa e anche perchè tutte e tre le volte che l’ho corsa, l’ho corsa con la pioggia. Che quando tutto è finito diventa un dolcissimo ricordo che risputa dagli appunti di qualche anno fa…
“Io vado piano….”. “Anch’io”. ” Ma guarda che io vado piano piano…”. “Tranquillo Luca. Anche io vado piano piano…”. “No ma guarda che non hai capito come sto messo…Io è da mesi che non corro…”. “Non ti preoccupare ho capito benissimo, stiamo messi uguale…”. Però piove. E quanne chiove l’acqua te ‘nfonne e va… Solo se non stai correndo. Perchè quanne chiove e sei al via di una maratona la voglia bisogna andare a cercarla dentro, chissà dove dentro. Dentro, dentro. E si parte lo stesso, magari senza averla trovata, sperando di trovarla strada facendo, tanto per continuare con le citazioni musicali. Il giorno dopo tutti eroi i pulcini bagnati, tramortiti e tremolanti che ieri sfilavano sui viali dell’Arno. Eroi a contare minuti e secondi. Eroi con le mani fredde, freddissime, incapaci di aprire una cerniera, di sbottonare un laccetto, di portarsi alla bocca un bicchiere di te. Eroi con le spugnette asciutte da stringere e ristringere sperando di riattivare l’anima e il cuore. Eroi fermi ai lati delle strade. Eroi incerti e dal passo sicuro, Eroi in lacrime ed eroi con il sorriso e la gioia che solo un sogno conquistato sa regalare. C’è un tempo per ogni cosa ma non c’è un tempo per la maratona. Due ore e cinquanta? Tre? Tre e quindici, tre e mezzo, quattro? Numeri. E chissenefrega dei numeri. Li vedi passare dall’altra parte delle Cascine i pacer con i tempi segnati sui palloncini. Non li leggi neanche per quanto vanno veloci. Ma è un dettaglio che non interessa. Non c’è un tempo nella maratona perchè ognuno ha il suo ed è il tempo migliore. Forte, fortissimo, piano adagio o camminando sono due sport diversi. Non è un fatto tecnico. E’ una scelta, per tirarsela un po’ si potrebbe anche dire che è una filosofia. Non ci sono muri da abbattere o scavalcare. Guardi in faccia quelli che ti sfilano più veloce e capisci che ognuno ha in testa il suo tormento. Il sogno è lo stesso per tutti ma sono mille le sfaccettature. C’è chi non molla, chi spinge sempre fino in fondo, chi deve fare il personale, chi per un minuto in meno si venderebbe l’anima, chi se non è giornata si ferma, chi un centimetro dopo il traguardo si fa il selfie da postare sui social, chi fa 42 chilometri e non lo diresti mai. C’è chi ride, chi s’incazza, chi piange e c’è chi soffre perchè sono mille anche i modi di esorcizzare la fatica. E quella c’è sempre, per tutti. C’è chi batte il cinque, chi arriva al traguardo con i figli, chi applaude alla bande che suonano, chi ai bersaglieri, chi trova la forza e l’agilità di accennare anche un paio di passi di flamenco. C’è chi ci crede e chi finge di non crederci. C’è chi dice mai più e chi invece fino alla fine dei giorni. Poi ci sono Alberto, Massimino, Luca e chi sa raccontarla. Pochi come loro. Che vanno piano perchè così vogliono e così hanno deciso. E il crono per una volta può aspettare: “Antò’ io mi fermo…”. “Si forse hai ragione, piove troppo mi fermo anche io”. “No, che hai capito. Io mi fermo perchè m’è venuta voglia di un caffè…” . “E beviamoci ‘sto caffè…”
