Addio a Marco Sbernadori, il papà del triatlhon
Addio a Marco Marco Sbernadori, il papà del triathlon come lo definivano un po’ tutti. Se n’è andato a 90 anni e lascia un vuoto tra chi lo ha conosciuto o ha solo avuto la fortuna di incrociarlo. Nato a Torino, atleta di buon livello nei 110 ostacoli e poi architetto, ha messo insieme una passione sincera per lo sport e la sua professione che, tra competenze di grafica, pubblicità e marketing, lo ha portato poi a diventare anche una figura di riferimento nel mondo dell’editoria con l’Editoriale sport Italia fondata agli inizi degli Anni ’80 e con le riviste Correre e Triathlete. Fondamentale è stato il suo contributo per la crescita del mondo del running ma soprattutto nel triathlon di cui è stato primo presidente della Federazione che ha guidato per diciasette anni . “A lui dobbiamo ciò che siamo , una famiglia di pazzi scatenati che ama il triathlon…- scrive nell’ultimo saluto la redazione di Triathlete- Diceva sempre che il triathlon era il suo terzo figlio. E come un figlio lo ha cresciuto, accompagnato, protetto…” . E infatti il mondo del triathlon lo sta salutando in modo commosso a cominciare dal presidente Riccardo Giubilei: “Arrivederci Presidente e grazie di tutto -scrive in un post- Sei stato un grande punto di riferimento sin dai primi giorni, grazie per il sostegno, la fiducia e la condivisione. Grazie per la disponibilità ed il generoso supporto. Arrivederci Marco, signore d’altri tempi… mi manchi già…”.
Vero. Un signore d’altri tempi nei modi e nei suoi racconti di triathlon, nel ricordare la prima volta ad Ostia come aveva fatto, emozionando la platea del Gran Galà del Triathlon anni fa a Milano, ma anche nel suo modo elegante e romantico di intendere la professione di editore. Parlando di ripartenza dopo il coronavirus scrisse un editoriale su Triathlete in cui celebrava finalmente il ritorno alla vita: “perchè un conto è allenarsi sui rulli, correre su un tappeto fare le scale di casa come tanti hanno fatto durante il lockdown, altro il contatto diretto con il terreno, con la strada con l’acqua…”. Insomma fare triathlon sul serio. Che era un po’ come fare l’editore sul serio. Perchè, spiegava, c’era la stessa differenza che passava tra l’asettica lettura di un libro, di una rivista o di un giornale su un schermo e quella di farlo invece sulla carta con il profumo delle pagine, il piacere di sfogliarle. “Le riviste di carta durano. Dai loro un’occhiata vorace appena te le ritrovi tra le mani fresche di stampa, leggi qualche titolo e poi le riponi quasi a conservarti il meglio piano piano come le buone pietanze. Leggere sulla carta è un rito antico…” raccontò tanti anni fa a me e al collega del Sole 24Ore Riccardo Barlaam quando andammo a trovarlo, alla vigilia del primo Challenge di Venezia che indegnamente ci vedeva al via, perchè Silvana Lattanzio aveva deciso di farci una intervista ” dinamica” come faceva lei. Ci incontrammo nella sede di Correre e capì al volo che con noi più che di triathlon avrebbe dovuto parlare di giornali riviste o giù di lì ma non ce la fece pesare. Poi guardò Silvana e le fece i complimenti per l’idea della doppia intervista e disse: “Attenti a quei due sarebbe un bel titolo…” Un fuoriclasse.
