Quanto vale lo sport? C’è un prezzo che ne traccia le linee: il mercato, l’appeal dei suoi campioni, la storia di un evento, la ricchezza degli sponsor, la voglia di qualche governo di dare un’immagine migliore di sè laddove grandi sfide e grandi protagonisti danno un contributo importante a ricostruire una verginità. E così, sempre più spesso,  il calcio emigra, i mondiali si disputano in Paesi che non hanno storia, il ciclismo corre in lande desolate dove le autostrade prendono il posto delle salite e agli arrivi non c’è pubblico.

Si diceva una volta “va dove ti porta il cuore”, oggi non vale più perchè a comandare sono logiche molto più terrene e meno romantiche. Vacilla un po’ tutto. Vacillano i grandi tornei, le grande boxe ormai sempre più vicina alle pantomime del wrestling, vacillano le Olimpiadi…E vacilla ovviamente il tennis che, tolti Wimbledon e Roland Garros che ancora “resistono” nella difesa ( strenua ) della tradizione, ormai fatica e rifiutare le profferte di sponsor e organizzatori sempre più ricchi e spregiudicati.

Prendiamo la “battaglia dei sessi”, il martch che si è disputato oggi a Dubai davanti a 30mila spettatori  tra l’australiano Nick Kyrgios che ha battuto in due set con un doppio 6-3 la regina del tennis mondiale, Aryna Sabalenka. Una sfida tra l’attuale n.1 del ranking e l’ex n.13 ATP, finalista di Wimbledon 2022 (attualmente n.671 dopo un lungo stop per infortunio), che si è disputata su un campo modificato : la metà di Sabalenka era più piccola del 9%, per riequilibrare le differenze medie nella velocità di movimento tra uomini e donne, con un curioso “effetto scalino” dalla visuale televisiva e con il limite di un solo servizio per ciascuno dei due contendenti.

Non è la prima volta che un uomo e una donna si “battono” in un incontro di tennis : più di 50anni fa la stessa cosa aveva fatto Billie Jean King contro il tennista “pensionato” Bobby Riggs. Ma erano altri tempi, c’erano profonde ragioni di diseguaglianza di trattamento tra sessi, nello sport e nella società, che giustificarono quel match. Oggi no. “The battle of sexes” è stato solo l’occasione per una ricca e pofumatamente pagata esibizione, una sfilata di marchi, di sponsor, di celebrità sugli spalti tutto fuorchè “sfida avvincente” quale dovrebbe essere lo sport. Cosa valga tutto ciò , al di là dei denari, non si fa fatica a capirlo: oggettivamente poco. Suona male, suona finto, suona fasullo.  Però va così. Questa è la deriva che avvicina sempre di più lo sport ad un punto di non ritorno, ad un carrozzone spesso sgradevole che pensa a far cassa e trasforma campioni in eroi di plastica. Quanto vale questo sport? Forse adesso tanti denari ma alla lunga c’è il rischio che vada in bancarotta