Una fortuna esserci stati anche se la voglia era quella di tornarci. Ma all’Elba per andare a correre Elbaman non ci si andrà più. Fine. Fine purtroppo. Dopo vent’anni di storia, il primo (uno dei primi) triathlon su distanza lunga mai corsi in Italia chiude i battenti. E, al di là delle ragioni e dei motivi che hanno portato gli organizzatori a prendere una decisione sicuramente sofferta, resta la malinconia per una delle sfide più romantiche che si perdono, che non ci saranno più. Quasi fosse  un amore che finisce e si porta con sè i frammenti di una passione struggente, qualche foto custodita chissà in quale cassetto, medaglie, ricordi, amicizie. Sì perchè Elbaman non è stato solo una semplice gara di triathlon ma forse l’unica vera “Woodstock” di uno sport dove,  qui più che altrove, contava esserci, venire, tornare, ritrovarsi come accade in quelle famiglie che vivono lontane e una volta l’anno si riabbracciano. Marina di campo all’alba,  un giro di bici sulla costa, una corsa fino a notte tra le vie di un paese che s’illumina per aspettare chi sta chiudendo la sua fatica, una pizza alla fine anche nelle ore piccole perchè qui per una notte forni e cucine restano accesi. Piaccia o no in questi vent’anni Elbaman  la storia l’ha scritta. Ed è una storia tutta sua,  mai banale, autentica e forse un po’ ruvida che resta, più nel cuore e nell’anima che sulla pelle.  Vent’anni da pionieri, di titoli italiani, di edizioni “spaziali” e di edizioni meno fortunate e “alluvionate”. Vent’anni e finisce qui. Con gli occhi lucidi ma senza rimpianti. Perchè ciò che doveva essere è stato ed è stato bello esserci andati anche se solo per una volta. E allora come diceva Stefano Accorsi nel suo meraviglioso monologo in  Radiofreccia “Credo nelle rovesciate di Bonimba, e nei riff di Keith Richards…Credo che c’ho un buco grosso dentro, ma anche che, il rock n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici beh ogni tanto questo buco me lo riempiono…”. Grazie di tutto Elbaman.

 

A raccontare il perché di questa decisione sono Marco Scotti, fondatore e proprietario del marchio, e Andrea Giusti, suo socio e amico di sempre, nonché anima elbana dell’organizzazione.

Dopo vent’anni di successi, arriva la parola “fine”. Una decisione difficile?

Marco: Non è stato affatto semplice. Ci abbiamo pensato a lungo, per mesi. Elbaman è stato parte della nostra vita quotidiana per due decenni: un lavoro incessante, nato dal nulla e costruito solo grazie alla passione. Ma ogni ciclo, anche quello più bello, prima o poi si chiude.

Andrea: È vero, Elbaman è cresciuto anno dopo anno, spinto da entusiasmo, amicizia e voglia di fare qualcosa di unico. Però a un certo punto bisogna guardare la realtà e ammettere che non si può continuare a forza di sola passione, soprattutto se intorno manca la stessa convinzione.

Molti si chiederanno: è una scelta dettata da motivi personali o economici?

Marco: No, non c’entrano motivi personali e neppure economici. È ovvio che l’impegno richiesto sia enorme – io stesso avevo calcolato che in un anno dedico oltre mille ore di lavoro nel tempo libero – ma non è questo il punto. Né è un problema economico: il budget richiesto è elevato, ma lo abbiamo sempre sostenuto con impegno e con l’aiuto, va detto, del Comune di Campo nell’Elba, che ringraziamo sinceramente per il sostegno costante.

Andrea: I motivi veri sono altri: penso spesso a cosa è diventato Elbaman in vent’anni, penso alle migliaia di persone che hanno coronato il sogno di tagliare un traguardo ambito come il nostro, penso ad un triathlon così bello e ben fatto, da essere considerato una delle gare più difficili, ma belle al Mondo! Dal nulla, con una passione folle, abbiamo creato qualcosa di straordinario, per il nostro territorio. Purtroppo, nel tempo, non c’è stato quel cambio di marcia, che ci saremmo aspettati.

Quindi, cosa non ha funzionato?

Andrea: Mi spiego meglio: mentre da parte degli atleti abbiamo avuto una fidelizzazione incredibile dovuta al fatto che Elbaman, pur non essendo una gara “blasonata”, era a detta dei concorrenti, un evento di altissimo livello, costruita nei dettagli con il cuore. L’affetto e la riconoscenza da parte delle istituzioni invece, purtroppo, anno dopo anno, non si è concretizzata. Al di là del fondamentale supporto del Comune di Campo nell’Elba, non è stato possibile avere una convenzione che ci permettesse di fare una programmazione pluriennale. Dopo vent’anni ci sentiamo più ospiti (spesso scomodi) che parte di una comunità che dovrebbe invece riconoscere l’importanza di un evento come questo, che porta in un periodo di bassa stagione migliaia di persone. Per non parlare di tutti gli atleti che vengono ad allenarsi o che allungano il soggiorno in occasione della gara anche per più settimane.

In che senso parlate di mancanza di supporto dal territorio?

Marco: In generale all’Elba manca totalmente coordinamento e promozione degli eventi, perlomeno sportivi. Nelle rarissime occasioni in cui siamo stati contattati dai vari enti, le tempistiche erano errate e l’organizzazione raffazzonata. Faccio anche un esempio concreto di altra natura: ogni anno dobbiamo portare sull’isola oltre 120 persone volontarie da fuori per montare, smontare e tenere in piedi la gara sotto ogni aspetto. Nonostante i 20 anni di presenza, trovare volontari locali è quasi impossibile. Spesso ci si sente dire “vediamo, chiamami qualche giorno prima”. Ma un evento mondiale non si organizza in tre giorni… Sono fortemente convinto che manchi, ad ogni livello, assoluta consapevolezza di cosa voglia dire voler offrire un evento di livello internazionale ad un pubblico sempre più consapevole ed esigente. Ovvero: cosa serve, cosa si deve fare, come lo si deve fare ed in quali tempistiche.

Andrea: Ad esempio anche le autorizzazioni: decine di PEC inviate ogni anno, spesso alle stesse istituzioni, e a pochi giorni dalla gara qualcuno risponde “cosa ci sarebbe da fare? non avevamo letto tutto”. Oppure c’è chi, dopo vent’anni, ancora chiede “ma la vostra gara passa nel nostro comune? Chiudete le strade? Che noia!”. È sconfortante, dobbiamo ogni anno ripartire da zero, come se non avessimo mai fatto nulla ed ogni input deve sempre partire da noi, altrimenti non si muove nessuno con l’idea che: “c’è Elbaman a settembre, quali attività vanno inserite e fatte partire?”. Dopo tanto tempo, queste situazioni ti fanno capire che l’evento non è percepito come valore per l’Elba, ma come un fastidio. Per me, da elbano, certi atteggiamenti sono umilianti. E in venti edizioni, le umiliazioni sono state tantissime.

Marco: porto un ultimo esempio. Ogni anno, non appena viene fissata la data, invio una capillare informativa sulle novità a tutto il territorio: come i comuni od i svariati enti che governano e guidano il territorio. Non ho mai ricevuto alcun riscontro da nessuno, neppure un “ok ricevuto”. Poi pero’ accade spesso che si rilascino autorizzazioni di varia natura come altri eventi, blocchi, restrizioni che vanno ad impattare negativamente su Elbaman e nessuno se ne preoccupa. Anzi, in caso di disservizi ai quali non abbiamo alcuna possibilità di porre rimedio, accade che ci venga puntato il dito contro come fosse colpa nostra.

Eppure i numeri parlano chiaro: turismo, visibilità, indotto economico diretto ed indiretto

Marco: Esatto. Solo l’edizione 2025 avrebbe generato circa 3.500 pernottamenti e un indotto diretto nella settimana di gara superiore ai 300mila euro. Quest’anno abbiamo speso oltre 110mila euro sul territorio, cercando di acquistare tutto il possibile in loco. E poi c’è la promozione: migliaia di post, foto, articoli che portano l’immagine dell’Elba nel mondo. Ma a quanto pare, tutto questo “non serve”.

Andrea: È triste dirlo, ma la sensazione è che per molti l’evento sia un disturbo. C’è chi dice “dopo tre mesi di turismo estivo, abbiamo bisogno di tranquillità” oppure che si dice infastidito da qualche chiusura o limitazione sulle strade. Noi invece credevamo che Elbaman potesse essere un’occasione di orgoglio, di bellezza condivisa, non un intralcio. L’impulso alla destagionalizzazione del turismo è chiaro e lampante, ma questo concetto viene ad altri livelli solo usato per riempirsi la bocca e raccogliere preferenze, non per fare qualcosa di concreto. Localmente, solo alcune persone incredibili ed i nostri fantastici “Elbaman supporter” non ci hanno mai abbandonato e per questo saremo loro grati per sempre.

Anche le condizioni delle strade hanno pesato sulla decisione?

Marco: Moltissimo. Le strade sono in molte parti in condizioni non accettabili, non solo per Elbaman, ma per la quotidianità. Non possiamo più garantire la sicurezza degli atleti. In vent’anni non c’è mai stato un intervento su tratti fondamentali di strade provinciali, come la bretella tra Colle Palombaia e Sant’Ilario, tanto che quest’anno abbiamo dovuto modificarne il percorso. E spesso i cantieri si aprono pochi giorni prima della gara, senza alcun preavviso, senza alcuna attenzione all’imminente evento. Un anno, ci siamo trovati, senza alcun preavviso e a pochi giorni dalla gara, con un semaforo attivo, per 80 metri di cantiere, e la minaccia (o la ripicca) di sospendere la gara se un concorrente fosse passato con il rosso! Tutto questo è inaccettabile e rende impossibile proseguire in sicurezza e serenità.

Avete avuto riscontri o tentativi di mediazione dopo l’annuncio della possibile chiusura?

Andrea: Nessuno, il nulla. Dopo aver dichiarato pubblicamente, davanti a centinaia di persone durante le premiazioni, che il futuro dell’evento era in dubbio, nessuno ci ha contattato. Né un’istituzione, né un ente, né un rappresentante del territorio. È stato il segnale definitivo che dovevamo fermarci.

Come vi sentite ora, dopo aver preso questa decisione?

Marco: In pace, ma con tanta malinconia. Elbaman è stata un’esperienza incredibile, irripetibile. Abbiamo raggiunto il massimo possibile partendo da zero e con una ventesima edizione memorabile: meteo perfetto, iscrizioni chiuse in largo anticipo, organizzazione impeccabile. È un bel modo per chiudere un capitolo straordinario. Il coronamento di vent’anni di impegno e amore per questo sport e per l’isola.

Andrea: Per me, da elbano, è un fallimento del mio territorio, perdere un Evento come Elbaman, significa perdere l’ennesimo treno. L’Elba, con le sue caratteristiche uniche, avrebbe tutte le carte in regola per posizionarsi come capitale dell’outdoor nel Mediterraneo. Ma di questo, i nostri 7 comuni e la loro gestione associata del turismo, non ne sono minimamente convinti. Rimarranno i ricordi, le persone, le emozioni. Tutto ciò che abbiamo costruito con passione e amicizia resterà nei cuori di chi l’ha vissuto.

Un ultimo pensiero per chi ha fatto parte di questa avventura?

Marco: Un grazie immenso a chi, come noi, ci ha sempre creduto e, ognuno secondo le sue possibilità, ci ha dato una mano. Non nomino nessuno, ma i rapporti personali e di amicizia costruiti in questi anni sono così solidi che queste persone sanno che sto pensando a loro. Senza di loro, niente di tutto questo sarebbe stato possibile.

Andrea: Esatto. Elbaman è stato un sogno condiviso, un grande abbraccio sportivo e umano. Sono fiero dell’accoglienza che i miei compaesani, con bandierine, adesivi e sorrisi, hanno riservato ai nostri Ospiti. Elbaman rimarrà sempre il Triathlon con il cuore.