Nonni da corsa e maratoneti fino a cent’anni
La prima notizia è che a cento anni si può ancora correre una maratona che, per chi non è del mestiere, sono (sempre) 42 chilometri e 195 metri. Non un centimetro di meno. L’altra è che Faujia Singh, contadino indiano del Punjab da anni ormai trapiantato a Londra, è tutto fuorché una persona normale. Un «fenomeno» con 4 figli, 13 nipoti, una dozzina di pronipoti e una serie importante di maratone alle spalle: da New York, a Toronto a Londra dove ha già corso cinque volte e dove ha conquistato il record mondiale maschile nella categoria over 90, con un tempo di 5 ore e 40 minuti. Ora l’ingresso trionfale nel Guinness dei primati come il più longevo maratoneta di sempre. Ma come si può a cent’anni sopportare la fatica di una maratona? Come può un anziano, arzillo e in forma quanto si vuole, reggere il peso di una corsa tra le più faticose?
«Chiaro che Faujia Singh è un’eccezione – spiega il professor Gabriele Rosa, tecnico tra i più famosi nel mondo della maratona – Un caso straordinario anche se nella storia delle corse di lunga durata ci sono altri esempi come quello di John Kelley che nella sua vita ha corso oltre 60 edizioni della maratona di Boston, l’ultima credo a 83 anni. Ma la normalità è un’altra ed è quella di un tipo di esercizio sportivo che per un anziano comporta ovviamente grandi difficoltà». Con l’età la struttura fisica si modifica e affrontare sforzi continuati di diverse ore, come possono essere quelli legati ad una gara di 42 chilometri, diventa sempre più complicato. «Il primo problema è legato all’apparato locomotore e al subentrare di patologie legate all’età come la maggior fragilità muscolare e scheletrica – continua Rosa – La corsa lunga è molto dispendiosa e sottopone chi la fa ad grandi sollecitazioni. Diverso è per la corse più brevi o addirittura la camminata: in questo caso ci sono solo benefici. Sia dal punto di vista cardiaco, sia da quello psicologico senza contare che il movimento migliora la stabilità dell’individuo avanti con gli anni e la sua capacità di evitare traumi da caduta che sono, tra l’altro, tra le prime cause di decesso». Ma, senza offesa, sono tanti i «nonnetti» che corrono. Basta dare un’occhiata agli ordini di arrivo delle maratone per rendersi conto che gli «over 60», ma anche gli «over 70», non sono una rarità. Un dato incoraggiante viene dalle statistiche: vent’anni fa i sessantenni che gareggiavano erano pochissimi e pochissimi i cinquantenni ben allenati.
Oggi la categoria dei 50enni è tra le più numerose ed è ben nutrita la schiera di chi ha passato i 60 ma si allena e corre quotidianamente. Ad occhio l’indicatore dell’età sportiva si è spostato in avanti di una decina d’anni. Ma Faujia Singh è fuori concorso. Per il sikh che corre con il turbante e la barba da santone e che a New York, pochi anni dopo l’attentato alle Torri gemelle, gli organizzatori non volevano far partire perché pensavano fosse un terrorista, le controindicazioni sembrano non esistere. Cento anni e non sentirli. Un secolo e guardare avanti, al 2012, al Festival della maratona di Edimburgo dove si è già iscritto e dove ha tutta l’intenzione di esserci. La sua massima è disarmante: «Se dovesse succedermi qualcosa in gara sono sicuro di essere assistito, a casa da solo chissà…».
Tutto torna. Molto anche nella sua vita e nelle sue giornate che cominciano con un quarto d’ora di meditazione, proseguono con una quindicina di chilometri di jogging e finiscono con un bagno caldo. Niente alcol e niente carne: solo acqua, piatti di verdura, un po’ di curry e tanto the. Ma l’elisir di lunga vita va ricercato nella sua mente che, dice chi lo conosce bene, resta illuminata, serena e soprattutto «allenata» con quotidiani esercizi spirituali. E così si resta concentrati sulle cose che contano che, per Faujia Singh, non sono certo fama e denaro. Al punto che, quando nel 2004 divenne testimonial dell’Adidas con Mohammed Ali, David Beckham e Zinedine Zidane, accettò alla sola condizione che il suo compenso fosse completamente devoluto ad aiutare i bimbi prematuri. Naomi Klein, la scrittrice portabandiera dell’impegno no global contro le multinazionali diventata famosa con «No Logo» rimase delusa e arrabbiata vedendo Faujia Singh che nello spot recitava: «Nulla è impossibile…». Non aveva capito niente.