Così la città che pedala si ritrova senza il Giro d’Italia. Niente tappa finale, niente passerella, niente cronometro. Niente di niente. Chissà se fosse successo a Parigi di perdere la tappa finale del Tour? Certo, in un momento come questo dove la gente fatica a fare la spesa non è un dramma, ma qui siamo a Milano che proprio sulle biciclette sta puntando per la sua politica ambientale. Siamo nella città delle tante, nuove, piste ciclabili che spesso si perdono nel nulla, delle domeniche a piedi, dell’Area C, della mobilità alternativa. E siamo nella città dove l’assessore al traffico Pierfrancesco Maran offre la colazione a quelli che vengono in centro a lavorare in bici. Insomma città ospitale per le due ruote. Eppure il Giro se ne va ed è un vera e propria «fuga» tanto per restare in telecronaca. Tranquilli, rimane in Lombardia ma sposta il suo ultimo sprint di un centinaio di chilometri, A Brescia che per averlo si è battuta come una Leonessa, manco a dirlo. E i nostri? Dove sono i nostri che avrebbero dovuto tenersi stretti Nibali e compagni per farne gli ambasciatori della nuova stagione ciclabile dei milanesi? Due anni fa, non nella preistoria, il sindaco Pisapia saliva sul palco del Giro e, al fianco di un Alberto Contador che brindava a champagne tutto vestito di rosa, annunciava che Milano non poteva fare a meno della sua corsa. Che serviva per ridare fiducia ai milanesi, che era l’esempio dell’agonismo positivo, che era uno dei punti di riferimento della nostra immagine europea. Che era tutto e tante altre cose…Una vita fa. Già perchè l’anno scorso il Giro a Milano è tornato con una cronometro finale al cardiopalma. Bellissima e vibrante finita con un distacco di 16 secondi tra Purito Rodriguez e la maglia rosa Ryder Esjedal. Ma questa è cronaca sportiva. Quella politica racconta invece di una domenica a piedi voluta da Palazzo Marino (chapeau!) ma anche di una bella tassa sull’occupazione del suolo chiesta agli organizzatori e di alcune incomprensioni anche con Atm. Capita di discutere di soldi soprattutto quando in cassa non ce ne sono e questi per Palazzo marino non sono tempi di vacche grasse. Però è anche questione di scelte. O meglio di priorità e forse anche di sensibilità. Così il Giro se ne va ma prima dei ciclisti se n’erano andati anche gli All Black’s mito vivente di promozione rugbistica capaci lo scorso anno di portare a San Siro 80mila persone tutte in un sol giorno. Mai successo. E i neozelandesi sarebbero anche tornati volentieri al Meazza ma la meta è sfumata. Finita in «mischia» tra le paure del calcio di trovarsi lo stadio occupato e calpestato e lo scarso interesse di un assessorato comunale allo sport che si è arreso in fretta alle prime difficoltà. Così gli All Blacks il prossimo 24 novembre sfideranno gli azzurri all’olimpico e già ora non si trova più un biglietto. Tanto per capirci. Ma la lista delle incomprensioni tra chi dovrebbe promuovere lo sport a Milano e le squadre non finisce qui. Così un altro forfait che ha suscitato più di qualche polemica è stato anche quello dei tennisti azzurri della Davis che qui avrebbero dovuto affrontare il Cile è invece giocheranno a Napoli. Il perchè non si è ancora ben capito complicato anche da un nervoso rimpallo di reponsabilità tra Comune e Regione. E la Davis ha fatto la stessa fine degli All Blacks. Con buona pace degli appassionati ma anche di un movimento, quello tennistico, che come molti non ha impianti presentabili e avrebbe bisogno come l’aria della spinta promozionale di un grande evento. Ma l’annus horribilis dello sport a Milano finisce con un’altra chicca. Con le polemiche di quest’inverno tra gli organizzatori della Coppa del mondo di sci di fondo al parco Sempione e il Comune dopo la «stangata» sull’affitto del suolo. Non solo. Loro, che a Milano avevano anche portato la neve e volevano lasciarla a disposizione dei milanesi finita la gara, vennero anche messi in croce dagli ambientalisti che li accusavano di rovinare l’erba del parco. E poi ci si chiede perchè il Giro va a Brescia…

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