La maratona di New York si corre a teatro
La maratona sullo sfondo. Ma neanche tanto. La corsa come rappresentazione della realtà dove due amici s’incontrano, si allenano e si raccontano correndo sul serio per un’ora sulle assi della scena che diventano così strada, ponti, salite… «Maratona di New York» di Edoardo Erba è una sfida fisica oltre che prova d’attore. Lo è per tutti quegli artisti che l’hanno portata in scena e lo sarà anche per Cristian Giammarini, apprezzato attore di scuola ronconiana e Giorgio Lupano che si muove tra teatro, televisione e cinema. Una doppia sfida. Sì perché, oltre all fatica fisica di correre in scena Giammarini e Lupano sono alla loro prima prova di regia. Una lunga corsa che è ovviamente un po’ metafora e che supera l’evento sportivo. «Maratona di New York», che andrà in scena dal 31 ottobre al 9 novembre al Teatro Leonardo a Milano, è un viaggio tra temi universali che si rincorrono e s’intrecciano con le immagini in bianco e nero che scorrono alle spalle dei due attori per una rappresentazione che è il punto di partenza per addentrarsi nei risvolti onirici della vicenda. I due personaggi, Mario e Steve, immersi nell’atmosfera rarefatta ma molto fisica della corsa, sostenuti dalla leggerezza e dalla vivacità dei dialoghi, dipanano le loro esistenze scanditi da un tempo che pare non obbedire più alle regole consuete. Il mondo notturno e deserto, lo spazio senza più riferimenti nel quale i due uomini si muovono, il rapporto con una realtà fatta di oggetti che sembrano non essere mai esistiti, tutto asseconda il tentativo di Mario e Steve di affidarsi ai ricordi e alla memoria come ultima risorsa per rivendicare la propria esistenza. «Maratona di New York ha corso più di me, viaggiato più di me, fatto più carriera di me- racconta l’autore Edoardo ERba sul sito del teatro Leonardo– E ho la sensazione che vivrà molto più di me. Una sensazione che si conferma ad ogni versione che mi capita di vedere. Se poi ne vedo una come quella di Giammarini-Lupano, la sensazione diventa certezza. Lo spettacolo non tradisce il testo originale, ma lo rilegge, lo re-inventa, lo inserisce in una dimensione drammatica nuova. La regia è modernissima, magistrale: passa indenne dai momenti comici, senza sottolinearli e senza averne paura, e arriva diretta al cuore del dramma fondendo incubo e realtà in una sola dimensione, un’unica grande notte stellata».