Armstrong, il doping e i pentiti
Quando uno Stato, un tribunale, una federazione si affidano a un pentito per venire a capo di cose che dovrebbero essere capaci di risolvere normalmente con altri strumenti non è mai un bel segnale. C’è un vizio fondamentale nella confessione di un pentito, un peccato originale: la contropartita. Chi si pente in genere non lo fa perchè mosso dal rimorso o per tornare in pace con la propria coscienza. Solo per calcolo. Racconta una verità, la sua verità, perchè in cambio vuole qualcosa, generalmente uno sconto di pena. E già questo è un limite enorme. La verità non può essere barattata perchè altrimenti diventa un verità piena di crepe. Cioè un’altra cosa. E anche la seconda confessione di Lance Armstrong deve partire da qui. Il texano alza il tiro e accusa l’ex presidente dell’Uci Hein Verbruggen di complicità. Racconta che nel 1979 vinse il suo preimo Tour perchè l’ex numero uno del ciclismo mondiale lo salvò per evitare il funerale di uno sport appena devastato dallo scandalo Festina. Armstrong accusa perchè è in cerca di una difficile riabilitazione che gli permetta di ritornare a gareggiare nel traithlon tra qualche anno e quindi cerca crediti agli occhi del nuovo presidente dell’ Uci l’inglesese Brian Cookson che ha istituito una commissione indipendente proprio per fare luce su quegli anni. Una nuova inchiesta che dovrà accertare le responsabilità dei vertici del ciclismo mondiale, dai dirigenti ai team manager. A cominciare da Verbruggen che sul sito online della tv olandese “Nos” replica: “Armstrong non è credibile, il suo obiettivo è quello di rilasciare dichiarazioni choccanti, clamorose ma che non possono essere considerate logiche». E’ tutto un groviglio di accuse, repliche, smentite, confessioni e sconfessioni purtroppo già viste e già sentite in processi ben più importanti e drammatici. Perchè di solito i pentiti portano altri pentiti che portano altri pentiti che smentiscono i pentiti. E nessuno crede più a nessuno.