Com’è triste Rimini senza il Challenge…
Non ci sono più i gonfiabili nella rotonda davanti al grand Hotel. Non ci sono più le transenne, non ci sono più gli striscioni azzurri della Garmin e non ci sono più neppure i getti d’acqua che bagnavano gli atleti sul lungomare. Ieri Rimini era la fatica del Challenge, una scarica elettrica che partiva dal bagnasciuga sotto la Grande Ruota, attraversava le colline e tornava a riva. Stamattina è il traffico assonnato del lunedì, gli operai in tuta che stanno smontando e un paio di bilici che portano via tutto. Un po’ come il Natale che è una meraviglia quando si aspetta e si festeggia e un po’ triste quando passa via. Ma è il lungomare che non si può vedere. Bagno 22, bagno 25, 40 fino all’85. Ieri chissà in quanti li hanno maledetti quei metri di asfalto dopo la prima, la seconda la terza volta avanti e indietro con le gambe sempre più gonfie e ammaccate. Stamattina svolti a sinistra con le bici sul tetto dell’auto e ti tocca anche un po’ di coda. Nessuna fatica anche se, a ricordarti ciò che è stato, un dolorino arriva schiacciando il pedale della frizione: rallenti, metti in folle e aspetti. E’ un amen arrivare a quella rotonda che ieri sembrava la terra promessa. Però ieri era tutta un’altra cosa. E sempre così. Quando si corre non si vede l’ora che tutto finisca, di mettere fine a tutta quella fatica poi quando tutto è finito un po’ ti manca. E allora la colazione in un bar del lungomare diventa il momento del replay di un fine settimana di pura adrenalina. Seduto comodo riavvolgi il nastro e si ricomincia. E lo risenti il freddo del mare, quellle boe gialle che fatichi a vedere, le botte delle cuffie verdi che ti hanno raggiunto e chiedono strada, la muta che non si slaccia, la sabbia sui piedi che non viene via. E poi la zona cambio che è solo una boccata d’aria. Corrono tutti, quindi anche tu, anche se in realtà non saranno quei venti secondi in meno a cambiarti la classifica. Calze, scarpe e casco per andare a fare i conti con le salite e con un vento che ovviamente ti soffierà in faccia. Novanta chilometri dove continui a ripeterti come in un mantra di non fare il fenomeno, di non spingere, di non andare in riserva. Ci provi e ci riprovi a convincerti. Ma dopo quattro ore di fatica il conto arriva. Perchè il conto arriva sempre. E così sul lungomare dove adesso ti godi il sole sfogliando la Gazzetta che regala una brevissima al Challenge dopo le solite 32 pagine di calcio, rivedi tutti i fotogrammi della tua corsa. Le facce dei tuoi compagni di squadra dell’Aurora che ti salutano ad ogni passaggio, il tifo dei dei tuoi figli, l’incitamento di Fabio Vedana e di Simone Diamantini che di solito si sgolano per gente come Daniel Fontana. Troppo onore. Senti ancora lo speaker che saluta chi arriva e va a raccogliersi il suo pezzetto di gloria, gli applausi, le voci degli addetti ai ristori: <Sali, coca cola , acqua più avanti…>. E l’acqua arriva anche sul tuo tavolino, servita con una fettina di limone in un bicchiere ricamato e un po’ retrò: “E a temperatura ambiente, la voleva da frigo?”. La voce del cameriere ti dice che il film è finito. Davanti all’insegna gialla del bagno 62 due ragazzini scorazzano su uno skate e un signore passeggia un po’ annoiato col Resto del Carlino sotto il braccio. Sul palo, vicino al cestino dei rifiuti, c’è ancora un pezzo della fettuccia rossa e bianca del Challenge. Svolazza perchè c’è vento anche stamattina. Ma ieri era tutta un’altra cosa…