La Francia e la differenza del Tour
Scrivi di ciclismo qui da noi e, di qualsiasi cosa si stia parlando, ti arrivano almeno una decina di mail che dicono che ormai questo è un sport finito, che sono tutti dopati, che è tutto falsato. E vabbè! Senza star lì a guardare cosa succede nel giardino degli altri mi viene da ridere pensando al calcio, al ct della nazionale indagato per frode, al Catania e alle partite comprate per non retrocedere, solo per citare l’ultimo di una serie infinita di imbrogli. Ma anche nell’atetica prendendo ad esempio il caso di Alex Schwazer per cui si sono spesi fiumi di inchiostro per ogni suo respiro senza scrivere una riga una, per il suo ex allenatore, l’oro di Goteborg nella marcia Michele Didoni, assolto da ogni accusa perhè il “fatto non sussiste”. Va così. Però il ciclismo da noi è il peggiore degli sport possibili Il più malato. Il peggiore nonostante gli ascolti (ottimi) in tv e nonostante le folle che si assiepano sulle montagne ad ogni tappa. E basta ricordare lo spettacolo dell’ultimo Giro con la tappa del Colle delle Finestre. Bisognerebbe per una vota dare un’occhiata a cosa succede in Francia, al Tour. Ieri si è corsa una tappa fantastica tra Belgio e Francia sul pavé, che non è proprio una passeggiata per i corridori. Certo, la Parigi Roubaix è peggio ma inserire le pietre in una corsa a tappe è un atto di coraggio degli organizzatori e anche un omaggio alla storia di uno sport che questa nazione ha imparato a rispettare nonostante il doping, nonostante gli scandali. Il Tour è il Tour a prescindere e i francesi se lo tengono da conto, come gli inglesi con Wimbledon. Il Tour è il Tour con i suoi riti, con il suo traguardo finale sui Campi Elisi che guai a toccarlo, con un Pease che per tre settimane si muove con la corsa. Tv e giornali compresi. Noi invece questa mattina con cosa apriamo i giornali sportivi? Con Massimo Moratti, ex presidente di una squadra di calcio, che fa i complimenti a Eric Tohir per la campagna acquisti dell’Inter. Scusate, ma la notizia qual è?