Il bocconiano che ha fatto pedalare l’America
Dai i banchi della Bocconi alla scrivania da commercialista il passo è breve. Quasi obbligato. Da uno studio nel centro di Milano a San Diego in California un po’ meno. Ci vuole sempre un po’ di coraggio a cambiar vita. O forse un pizzico d’incoscienza. O forse sta scritto da qualche parte: «Una mattina mentre andavo al lavoro mi sono chiesto cosa ci stavo a fare a Milano. Così sono partito, sperando di trovare qualcosa da fare ma soprattutto con la voglia di andare a “cazzeggiare“ un po’…». L’idea era quella di tornare. Invece Matteo Gerevini, 52 anni di Mantova ma milanese d’adozione, in California c’è rimasto. Inizialmente per dare una mano ad Ernesto Colnago ad organizzzare la prima Granfondo ciclistica degli Stati Uniti, nel 2009 proprio a San Diego. Poi per fare la stessa cosa a Los Angeles, Miami, Beverly Hills, Pasadena, Philadelphia e a New York. «Gli americani che fino ad allora correre in bici non sapevano neppure cosa volesse dire perchè si ritrovavano col passa-parola in due o trecento nei parcheggi dei centri commerciali improvvisando organizzazione e percorsi- racconta Gerevini- cominciarono ad apprezzare le gare organizzate e a prenderci gusto. E così dalle due granfondo che c’erano nel 2006 in tre anni si arrivò ad organizzarne più di 300. Un vero e proprio boom. Un business, come dicono da quelle parti». E Gerevini e il suo staff ci misero un bel po’ di genio italiano per far scoccare la scintilla tra gli yankee e la bicicletta: «Avevamo capito che ciò che piaceva tantissimno era la tradizione italiana delle due ruote. Ricordo che quando Ernesto Colnago, il giorno prima della gara, si mise a firmare gli autografi ad un paio di appassionati in pochi minuti si formò una fila di più di un centinaio di metri con gli americani impazziti. Chi veniva a farsi autografare le magliette, chi le foto, chi le bici…Così pensammo di confezionare una granfondo che fosse italiana in tutto e per tutto. Il giorno della partenza la gara fu aperta da tre Ferrari rosse che ci facemmo prestare da una Fans Club della città, dalle note del “Nessun Dorma“ della Turandot cantata da Luciano Pavarotti e al traguardo servimmo piatti di pasta italiana cucinata al momento a tutti gli arrivati…». Bingo. Se amore doveva essere amore fu. Ed è una passione che non si è spenta e continua ancora oggi anche se poi negli anni con Greg Lemond e Lance Armstrong anche lì hanno imparato a far da soli. Ma Gerevini non si accontenta di far pedalare gli americani. E così una mattina mentre fa colazione in un albergo di New York legge su una rivista che una società tedesca ha brevettato un «chip» elettronico per catalogare le merci dei magazzini in modo da sapere sempre in tempo reale quanta merce ha stoccata e dove rintracciarla quando arrivano gli ordini. «All’istante ho pensato che lo stesso sistema potesse venire applicato alle corse amatoriali perchè, tanti anni fa, i tempi degli atleti venivano presi a mano, trascritti all’arrivo dai giudici su cartellini di cartone. Così pensai che si potesse fare». E nel giro di qualche mese quella fu una vera e propria rivoluzione tant’è che oggi tutte le gare ciclstiche, di atletica, di triathlon, mondiali e Olimpiadi comprese, usano quel sistema di rilevazione dei tempi. «Winning time fu davvero una rivoluzione- ricorda- Poi però arrivarono i competitor e noi restammo un po’ fermi al palo. Così ho cambiato ancora…». Oggi Matteo Gerevini è direttore esecutivo di Wace, un’associazione che raggruppa i più grandi eventi cislistici mondiali dalla Granfondo di New York a quella di Roma a quella di Città del Capo: «Sì, ci sono anche la Ride London che porta al via 95mila iscritti e la Wattern Rundam in Svezia che fa il sold out di 20mila partecipanti in un minuto e 27 secondi dall’apertura delle iscrizioni on line- spiega- Questa è la mia nuova scommessa e sono quasi certo che funziona perchè il ciclismo amatoriale è in forte espansione…». Ma non c’è solo la bici. Ce n’è anche un’altra di scommessa dove la bici c’entra ma c’entrano anche nuoto e corsa e soprattutto c’entra Venezia, trappa a giugno di un full distance del circuito Challenge: “Sì , portare il triathlon lungo a Venezia più che una scommessa è una bella sfida- spiega Gerevini– Ma almeno a giudicare dal numero di iscritti che abbiamo giùà raggiunto le cose stanno andando nelle giusta direzione…>. E se lo dice uno che ha fatto pedalare gli americani c’è da crederci…