Il triathlon? In Dds è sport di squadra
Certo che poi alla fine devi sempre fare tutto da solo. Certo che a nuotare, a pedalare e a correre ci devi arrivare con le tue forze, con le tue gambe e con la tua testa. E di sicuro quando dalla “centralina” parte il comando di stop perchè magari hai esagerato, osato troppo o fatto male i conti non c’è compagno di squadra che ti possa dare una mano. Fine. Si mette la freccia e si accosta. Però, se una mattina quando il mondo dorme, ti invitano a partecipare ad un raduno della Dds di Settimo milanese, il dubbio che anche il triathlon sia uno sport di squadra ti viene. Eccome se ti viene. Già tuffarsi in acqua alle otto di un sabato di ottobre quando magari potresti per una volta rigirarti nel letto perchè non c’è lavoro, non c’è scuola, non c’è una figlia o un figlio da accompagnare chissà dove, è un gesto che ispira un po’ di solidarietà. Qui la squadra serve anche se ha la faccia assonnata e tanta voglia di caffè. Da solo non lo faresti mai, se con te però ci sono un’altra trentina di fissati allora diventa tutto più semplice. Più o meno. Perchè in Dds nuotare non è solo un verbo che si coniuga all’infinito. Entri, dai un’occhiata ai trofei e si fai presto a fare due più due… Se poi in cabina di regia sulle pedane dei tuffi c’è Luca Sacchi, uno che in vasca ha vinto medaglie olimpiche e firmato record mondiali, un’ora e un quarto in piscina diventano un’altra cosa. Diventano la “tecnica”: il nuotare con una mano, con l’altra, solo con le gambe, alternando il lato di respirazione, sott’acqua, a cagnolino, con la testa fuori, con le mani sotto che “tagliano” l’acqua, migliorando il galleggiamento, diminuendo il numero delle bracciate ad ogni virata. Diventano la certezza che tutto ciò che hai fatto fino al giorno prima, il tuo inutile andare avanti e indietro fissando la riga nera del fondo vasca era solo qualcosa di simile. Più cuffia a fiori che non quella da ironman, tanto per capirsi. E Bisogna farci i conti. “Perchè siamo qui per questo, perchè questi allenamenti collettivi servono proprio per migliorare la tecnica…”. Daniel Fontana usa il “noi” ma è chiaro che è solo un atto di gentilezza. Lo vedi sfilare nella corsia a fianco e capisci che per lui la “tecnica” è un dettaglio che serve solo a limare qualche secondo, come una F1 nella galleria del vento. E il lavoro quotidiano che lo sta aiutando a recuperare da un brutto guaio al tendine e che presto potrebbe riportarlo in gara, magari in Argentina. E va così anche dopo, quando si sale in bici e il gruppo diventa ancora più numeroso. Vedi pedalare Ivan Risti, che ha appena corso un 70.3 in Turchia e si prepara ad andare a Cozumel in Messico per correre un Ironman dove, tra gli altri, dovrà fare i conti anche con Alessandro Degasperi, e capisci che maglie, ruote, selle, manubri, spessori delle protesi possono essere anche uguali per tutti. Poi però c’è chi fa sul serio. Ed è un’ altra cosa. Però si va. In squadra, in gruppo e neanche tanto piano verso le campagne che portano a Morimondo, un gioiello di abbazia cistercese che nella foga dell allenamneto oggi diventa (ovviamente) solo la tappa per un caffè. “Conta la squadra? Certo che conta…- spiega Fontana che a 40 all’ora chiacchiera come se fosse tranquillamente seduto in salotto- E raduni come quello di oggi per noi in Dds sono importanti perchè aiutano a fortificare il gruppo. Qui stamattina c’è gente che ha fatto l’ironman a Kona, gente che ha un lavoro e una famiglia e gente che invece sta pedalando solo per dimagrire un po’…Però si pedala tutti insieme perchè la bici è l’unica vera forma di democrazia rimasta, anche più della corsa…”. Sarà. Sarà che pedalare è anche “partecipazione” come scriveva Gaber parlando della Libertà con la “elle” maisucola, poi però quando senti il “clac” dei rapporti che scendono e vedi le mani si spostano sulle protesi per andare a cercare la posizione più aerodinamica capisci che la democrazia un po’ te le devi sudare e conquistare. Zelo Surrigone, Vermezzo, Bestazzo, San Pietro, Cisliano, Cusago, Monzoro e di nuovo Settimo, partenza e arrivo. Più quaranta all’ora che trentotto. Più uno in fila all’altro che gruppo. Però la squadra c’è. Anche se magari arriva un po’ alla spicciolata…