L’Africa estrema di Callegari
L’ha fatta grossa Danilo Callegari. Da pochi giorni è tornato in Italia ma il suoi pensieri probabilmente sono rimasti la’, in quell’Africa più estrema che mai che ha attraversato rincorrendo un’impresa che forse è più un sogno. Cominciato un po’ di tempo fa e non ancora finito, perchè è così che si riempie la vita, con il coraggio di fare ciò che il cuore comanda e il cervello sconsiglia. Ed è prendendo le cose di petto che Africa Extreme adesso è una sfida vinta, un pezzo di vita andata, una storia da raccontare con un sorriso sereno. Adesso è così ma è chiaro che è stata dura. “Ho pianto di gioia e felicità. Mentre ripercorrevo tutto quello che ho passato in questi due anni di preparazione, di allenamento, di sacrifici e di complicazioni. Ho rivisto, in un flashback, la mia uscita dall’Oceano e tutte le mie 27 maratone. E allora sono scoppiato in lacrime…”. Danilo Callegari è arrivato fino in fondo al suo sogno che per molti forse era un follia. “Africa Extreme” erano 50 chilometri a nuoto nell’Oceano Indiano, erano 27 maratone in 27 giorni ed erano la salita e la discesa del Kilimangiaro. “Roba da matti….” hanno pensato in tanti prima che partisse. Non lui, tosto alpinista pordenonese di 32 anni, che poche notti fa con la testardaggine che serviva ha messo la parola fine ad un’impresa che, come qualcuno gli aveva fatto notare qualche mese fa a Milano, ora potrebbe anche farlo diventare famoso. Ma è un dettaglio. Non gli importava nulla allora e non gli importa più di tanto adesso. “Questa è l’emozione più grande che abbia mai provato- racconta- . Ora devo fare i conti con qualche ma il fisico ha tenuto bene grazie anche alle iniziali condizioni meteorologiche buone che mi hanno accompagnato fino a campo 4. Poi il tempo è girato a pioggia mista neve, impedendomi di godere il panorama dalla cima e accompagnandomi per tutta la lunga discesa, soprattutto verso la fine, nella giungla. Ce l’ho fatta e questo è il giusto coronamento di tutto quello che ho affrontato prima.”. Felice e contento come si può essere dopo un un viaggio che sembra un romanzo. Che chiude la terza tappa del “7 Summit solo project” che è qualcosa che va anche oltre l’immaginazione, che sono sette spedizioni in sette continenti per toccare la cima delle sette vette più alte al mondo abbinando altre discipline outdoor estreme. Tutto è iniziato nel 2011 con il Sout America Extreme, dove Callegari ha percorso 4500 km in bicicletta, attraversato due deserti, percorso 300 km in kayak sul lago Titicaca, volato in parapendio sulla costa cilena, da Lima a Santiago del Cile in 4 mesi per scalare in solitaria e in stile alpino il Cerro Aconcagua (6.962 m) per la diretta dei Polacchi. Nel 2012 è stata la volta di Europe Extreme con l’ascesa in solitaria e in stile alpino dell’Elbrus (5.642 m) e rientro a Pordenone, città in cui vive, in bicicletta, in inverno, per un totale di 4000 km. Ed Ora il Kilimangiaro. Fatica, paura, pericoli, di tutto un po’. E arrivare in fondo non è stata solo una questione di allenamento. Si va oltre. ”Certo è un fatto fisico ma è soprattutto un fatto mentale- aveva detto alla vigilia della partenza- Sai che quello è il tuo obbiettivo, che ti sei preparato anni per arrivarci e quindi devi solo riuscire a mantenere il giusto equilibrio mentale…”. Che serve più di ogni altra cosa in un’impresa così. Ci si allena con lo yoga o forse è nel Dna. Cinquanta chilometri a nuoto nell’Oceano, ventisette maratone in ventisette giorni, e poi su è giù dal Kilimagiaro si fa fatica anche a scriverlo. Eppure si fa. Perchè gliel’hanno chiesto in tanti. Chi non ha il coraggio o l’incoscienza di fare cose così di solito, con un bel po’ di invidia, dice che gli atleti estremi sono solo esibizionisti o vanno in cerca di qualcosa che non trovano: ” Zero!- taglia corto Callegari– Io non cerco proprio nulla. Faccio queste cose perchè questa è la mia vita”. E la sua vita è un sogno. Che non è finito e continua perchè all’orizzonte già c’è l’Antartide, “Extrema” ovviamente. Ma non serve neanche dirlo.