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e1cdc352-d443-486e-9926-12b8182ae39410eef14b-fb47-4ee0-9ca1-8df9c10b2b06Lei direbbe mai ad una donna che sta usando il viagra? Ecco con queste bici più o meno funziona così…». Elettriche, a motore, truccate, dopate, non c’è un aggettivo che spieghi perfettamente cosa sia una bici da corsa con il motorino. Molti le usano ma pochi lo dicono. E per rendersi conto di cos’è bisogna provarla, magari su una salita che un pezzo di storia come il Muro di Sormano, tra Erba e Bellagio, un vero e proprio monumento dedicato alla follia di chi ama pedalare. Tremendo, leggendario, unico, drammatico e assurdo. Una scala a chiocciola di 2 km con una pendenza media del 15% e picchi al 28 scoperta da Vincenzo Torriani all’inizio degli Anni 60. Qui anche molti professionisti si arrendono e mettono piede a terra. Con una bici a pedalata assistita, con 300 o 400 watt di potenza in più, si sale veloce. Sale veloce anche un signor Rossi qualsiasi. Si arrampica passeggiando come in pianura, senza far impazzire i muscoli, senza rendersene conto e senza dare nell’occhio perchè non c’è nulla che tradisca che non sono le tue gambe che stanno spingendo. Non un filo non un sibilo. Doping tecnologico o magia di una tecnologia che permette a chi può spendere anche 12mila euro di togliersi uno sfizio? Dipende dai punti di vista. «Quando ho realizzato questo progetto ho pensato che potesse servire a chi nonostante l’età o una malattia volesse continuare ad andare in bici- racconta Stefano Varjas, l’ingegnere ungherese che ha brevettato i motorini- Ed infatti una delle prime bici che ho consegnato è stata quella per Eddy Mercks che ha qualche problema di cuore e non può più far fatica…». Perfetto. Ma è chiaro che non è tutto qui. C’è anche un altro punto di vista venuto alla ribalta poche settimane fa a Zolder, durante i mondiali di ciclocross, quando la belga Femke Van den Driessche è stata beccata con una bici «motorizzata». La bici con il motorino c’è, sono almeno dieci anni che c’è. Ma se prima c’era solo il sospetto che qualcuno la usasse in gara ora è quasi una certezza ed è un problema enorme come l’Epo, se non di più, che l’Uci, l’unione ciclistica internazionale, sta cercando in tutta fretta di affrontare. Ma fa quello che può perchè la tecnologia pedala veloce. «Rispetto alle prime apparecchiature è cambiato molto- racconta Varjas- Si sono ridotti pesi e ingombri, grazie al bluetooth sono spariti fili e contatti e anche i pulsanti per far partire il motorino, che ora può essere collegato al cardiofrequenzimetro e quindi attivarsi quando il battito cardiaco raggiunge una certa frequenza oppure da un telecomando che si può azionare anche dall’ammiraglia». Quasi impossibile capire chi «bara». Difficile perchè non basta più smontare il portaborraccia e andare a cercare il trucco all’interno dei tubi, non basta più neppure pesare le bici perchè il peso aumenta solo di qualche etto. E non basta neanche radiografare i telai con un lettore scanner capace di leggere il calore perchè dopo pochi minuti di non utilizzo i motorini si raffreddano e tornano ad essere invisibili. Non solo. La nuova frontiera ora sono i motorini inseriti nelle ruote. E qui diventa ancora tutto più complicato. Si inseriscono dei magneti all’interno dei cerchioni che trasmettono potenza a un movimento centrale senza neppure bisogno di una batteria, perchè si ricaricano con il movimento delle ruote: «Rispetto al motore inserito nel telaio questi danno qualche centinaio di watt di potenza in meno- spiega Varjas – ma è chiaro che sono molto più semplici da gestire. Basta togliere o mettere una ruota e in teoria anche il ciclista che sta pedalando potrebbe non saperlo». Potrebbe. Tant’è che ieri è sceso in campo anche l’organizzatore del Tour Christian Prudhomme: «É un problema enorme che va affrontato- ha scritto in un tweet- altrimenti di cosa stiamo parlando?»