ruzIl  Castello,  Piazza Mario Pagano, la Fiera e dopo il sottopasso di via Scarampo ti ritrovi in coda su cavalcavia che porta verso la Milano-Venezia. Stop. Linus in radio dice che ieri ha corso un tratto della Relay marathon con Baldini, Andriani e Cassani e poi si è sbracato sul divano a vedersi quel fenomeno di Sagan che vinceva il Fiandre e di fianco a te, su una monovolume c’è un tizio col codino che digita chissà cosa sullo smartphone cercando di non bruciarsi con una sigaretta. Fermi.  Anzi no, avanti adagio. Tieni schiacciata la frizione e un dolorino al quadricipite ti ricorda che ieri,  alla stessa ora,  qui eri più o meno al ventesimo chilometro della Milano marathon. E allora ti rendi conto come, tra ieri e oggi,  non ci siano 24 ore in mezzo. C’è uno spazio di tempo indefinito in cui ci sta dentro un mondo. Un mondo distante e lontanissimo fatto di immagini che ti scorrono davanti veloci e si sovrappongono come in un film di quelli che rincorrono passato e presente. Così ieri qui c’era un cavalcavia maledetto ma meravigliosamente silenzioso e sgombro dove eri padrone dei tuoi passi e del tuo tempo e dove a scandire il ritmo erano il rumore delle suole e il respiro affannoso dei tuoi compagni di viaggio. E qui oggi c’è un cavalcavia che non ti obbliga a far fatica ma che ti inchioda in una coda e in un routine che avevi già dimenticato. E’ il giorno dopo la maratona. Quando fai fatica ad alzarti, fai fatica a scendere dal letto, a scendere le scale, a camminare disinvolto ma un po’ ti fa piacere. Perchè é un dolore dolce, quasi da assaporare che ti ricorda ciò che hai fatto, che ti fa essere anche un po’ fiero.  E ogni cosa che fai il giorno dopo la maratona ti riporta alla maratona.  Anche se poi ti guardi intorno, passi negli stessi posti dove correvi ieri e non ci sono più i dettagli che il tormento degli ultimi chilometri ti obbligava a mettere a fuoco per distrarre i tuoi muscoli. Non ci sono più i cartelli del  15mo e del 36mo. Non c’è più il ristoro rosso della Enervit,  non ci sono più le tende del soccorso in piazza Damiano Chiesa, non ci sono più  i sali e le banane sui tavoli dei rifornimenti in via Gallarate e non c’è più neanche il cartello del 41mo, uno degli ultimi prima del traguardo, gioia e fine di tutti i tormenti. Che ieri non vedevi l’ora di archiviare e oggi  già un po’ ti mancano. Perchè è sempre così. Riavvolgi il film di ciò che è stato e resta solo il bello. Sembra tutto dolce, meno terribile di come sembrava. Magia delle endorfine che ti portano a pensare che magari domenica prossima a Roma… Che magari la Milano marathon è stata solo un allenamento lungo. Anzi lunghissimo. Che magari si può già ricominciare. Perchè in realtà una maratona non finisce al traguardo. Non finisce dopo 42 chilometri e 195 metri e forse non finisce mai perchè a pensarci bene è quasi un modo di essere. Il bello viene dopo. Ed è un po’ come passare all’incasso. Anche se sei in coda sullo stesso cavalcavia dove ieri “scricchiolavano” le tue Mizuno…