Nibali, la sfortuna non c’entra
La sfortuna non c’entra. Vincenzo Nibali ha provato a vincere e su una discesa assurda, umida, viscida, con pezzi di marciapiede che sporgevano, con reti di protezione che neppure in una gara di paese, è andato giù. Capita ed è capitato. Ma non solo a lui. Da quelle parti sono caduti in tanti ed è andata bene a tutti per fortuna. Ma quando è caduto Vincenzo Nibali a un bel pezzo d’Italia sono venuti gli occhi lucidi. Mica rabbia. E con chi te la prendi? Neppure col ct, che quando un’Italia perde è sempre una bella comodità per sfogarsi. Cassani non c’entra. Non c’entrano Fabio Aru, Diego Rosa, Damiano Caruso, Alessandro De Marchi. Tutti presenti, tutti perfetti, tutti per uno. Come si doveva fare per vincere un’Olimpiade che ormai conta. E quell’uno c’era. Fino a 11 chilometri dall’arrivo di Copacabana quando è arrivato il momento di osare. L’aveva detto alla vigilia: ” Per vincere bisognerà prendersi qualche rischio nell’ultima discesa…”. Così è andata. Così anche per mettere a tacere chi al Tour, quando aveva tirato i freni, gli aveva detto che si era imborghesito. Allora ha osato ed è andato giù. Ma non è stata sfortuna. E’ stato un conto che non è tornato. E’ stato un calcolo approssimato per eccesso. Nello sport va così. Anche alle Olimpiadi, dove brucia di più perchè quattro anni sono un tempo che magari non arriva più. Ma sarebbe stato peggio il rimpianto di non averci provato.