1482051638-coppa-davis-1976Lo sport è business e quindi politica. Ma mi piace pensare che alla fine vinca sempre lo sport. E che il tempo sia una fantastica scolorina capace di cancellare negli anni polemiche, tensioni e lotte di fazione lasciando al ricordo solo l’immagine di una vitoria, di un traguardo, di un gol o di una coppa alzata. E’  il 18 dicembre 1976  quando l’Italia vince la coppa Davis. Per ora l’unica e chissà per quanti anni ancora sarà così.  Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, quattro moschettieri pronti a giocarsi la finale dei loro sogni da tennisti e finiti in una storia più grande di loro. Giocare o non giocare, partire o non partire l’Italia è divisa. Una contro la trasferta cilena perchè «non si giocano volèe nel Cile di Pinochet», un’altra convinta che lo sport con la politica poco c’entri. Anzi nulla. Da una parte tutta la stampa di sinistra che ricorda come anche l’Unione Sovietica non abbia giocato la semifinale contro i cileni, dall’altra un altro pezzo di Italia e chi, come il capitano Nicola Pietrangeli, si fa in quattro per convincere un Paese che la finale di Davis è solo una partita di tennis non un trattato di amicizia con un dittatore.  Un lungo palleggio di ruoli, competenze di decisioni che nessuno vuole prendere. Dalla Federtennis, al Coni fino al presidente del consiglio Giulio Andreotti in un “affaire” che diventa, come sempre capita nel nostro Paese, un affare di Stato. E meno male che ancora non c’era facebook. Tutti cerca di prendere tempo. Poi finalmente ci si rende conto che non partire sarebbe l’assist perfetto per il generale Augusto Pinochet. Decisiva anche la mediazione dell’allora segretario del Pci Enrico Berlinguer, uomo di partito ma soprattutto politico di buonsenso, che si dice strappi per questo suo intervento la promessa di far giocare gli azzurri con le magliette rosse… La finale è salva. Ed è una finale dal pronostico obbligato. Panatta ha appena vinto gli internaziona di Roma e parigi,  Barazzutti in coppa è imbattibile, ritratto di una testardaggine agnistica senza precedenti,  Tonino Zugarelli ha fatto il miracolo londinese conquistando in pratica la finale sull’erba di wimnbeldon. E il Cile  con Jaime Fillol e Patrice Cornejo è poca cosa. Ma forse al Cile non iporta neppure tanto vince. La finale di Daviss per Pinochet è l’occasione per spiegare al mondo la sua “democrazia”, per sviare l’attenzione dal suo pugno duro, dal corpifucoco,  dai rifugiati politici, da chi cerca di scappar via, dalle migliaia di desaparecidos. Nella prima Barazzutti batte Fillol  e Panatta travolge Cornejo. Due a zero. Il giorno dopo è solo una fomalità perche Panatta-Bertolucci sono uno dei doppi più forti al mondo quando hanno voglia di giocare a tennis e quel 18 decembre del 1976 hanno voglia eccome.  Stapazzano i cileni e l’Italia alza la Davis. La notizia viene data per radio perch la Rai Tv non c’è. Polemica che si aggiunge a polemicche.  Che per un po’ non si placano, poi svaniscono. Quarant’anni dopo questa è storia.  La storia di una Davis che qualcuno pensava fosse una sfida politica ed invece era una sfida di sport.

 

 

L’articolo scritto per Il Giornale da Mario Cervi, inviato in Cile,  il giorno della vittoria della Coppa Davis. Una lezione di giornalismo

Dal nostro inviato a Santiago,

18 dicembre 1976

Mario Cervi

Con Pietrangeli e Panatta che in mezzo al campo dove era stato disputato il doppio issavano sulle loro teste la coppa Davis, si è chiusa la seconda giornata della finalissima. Con anticipo sul calendario ufficiale, questa sfida ha già avuto negli italiani i suoi meritatissimi vincitori, e il pubblico cileno, che pure si era abbandonato ad un tifo caldo e in qualche occasione rovente, ha tributato un grande applauso agli azzurri. Dopo un pomeriggio nuvoloso era tornato il sole, a salutare questa vittoria sportiva di enorme rilievo. Gli italiani presenti – perché domiciliati in Cile e perché arrivati dall’Italia – erano raggianti.

La cerimonia inaugurale – fissata, curiosamente, per oggi – ha aperto questa importante giornata del doppio. Cerimonia volutamente contenuta e semplice, con la fanfara dei carabineros che suonava gli inni nazionali, con gli alzabandiera, con le fotografie di rito, ed infine con un volo di colombe in omaggio – ha detto lo speaker – alla pace. Il generale d’aviazione Gustavo Leigh, membro della Giunta militare, anche questo pomeriggio presente in borghese, come già ieri, ha preso posto in tribuna solo dopo i preliminari protocollari, a togliere evidentemente ogni significato politico al suo intervento.

La serenità dell’ambiente non è stata dunque turbata neppure oggi. Peccato che i timori di strumentalizzazione politica – non in Cile, perché non ce n’è stata, ma in Italia – abbiano paralizzato a tal punto i nostri rappresentanti ufficiali da far temere che raggiungeremo domani, per il banchetto, il massimo della maleducazione. Il presidente della federazione italiana di tennis, avvocato Paolo Galgani, è arrivato in ritardo di proposito allo stadio, per non farsi vedere quando il suo nome è stato elencato tra quelli degli ospiti. E passi. Ma Galgani annuncia di non volere intervenire nemmeno alla cena finale per il timore che, giungendovi Leigh, gli si possa muovere l’accusa di collaborazionismo con il regime cileno. «Vadano pure Pietrangeli e la squadra» ha detto. Ma Pietrangeli ha rifiutato di far accollare a se stesso e ai giocatori una responsabilità che non compete loro.

Morale. Salvo ripensamenti, al banchetto ci saranno i cileni, ci saranno gli ospiti stranieri, a cominciare dal presidente della federazione internazionale di tennis Hardwick, non ci saranno gli italiani. Ma gli inglesi, si sa, sono dei rozzi principianti in tema di democrazia. La lezione dobbiamo dargliela noi. I professori. O attraverso la televisione che adora il monopolio, o attraverso dirigenti sportivi che hanno la voluttà del conformismo.