08Mar 17
Com’è triste l’atletica…
Gli hanno messo anche gli alettoni. Un paio di placche adesive ai polpacci per guadagnare tutti i centesimi e i millesimi che servono. Perchè per andare sotto le due ore in maratona serve tutto ciò che si può inventare. E allora pantaloncini a compressione praticamente cuciti addosso, canotte che sembrano una seconda pelle, scarpe con una soletta in carbonio che più performante non si può. Cibo, bevande, sonno e allenamenti tutto sotto il più completo e assoluto controllo di uno staff di medici e ingegneri. Basta gare in una stagione che ruoterà tutta, completamente, solo intorno al record. Benvenuti nelle Formula Uno dell’atletica, la nuova frontiera di uno sport esatto dove si crede (e speriamo ci si illuda) che due più due fa sempre quattro, che i tempi e i record sono la somma esatta di un calcolo in cui tanto si investe ( in denaro) tanto si ottiene, in cui il talento è un optional o una qualità non sempre necessaria. Non ci sono più le strade, gli avversari, la pioggia, il freddo o una giornata storta. Si corre in pista, tirati dalle lepri, seguendo le previsioni di un algoritmo o di un programma che spiega e prevede quali saranno le condizioni perfette per la madre di tutte le prestazioni. Così ieri a Monza è andato in scena il primo test di Nike di Eliud Kipchoge, Zersenay Tadese e Lelisa Desisa che, come in un warm up, hanno girato intorno ai 59 minuti sulla distanza della mezza, primo passo per capire se e possibile stare sotto le due ore sui 42 chilometri e 195 metri. Un progetto che ha una fotocopia, la sfida di un altro colosso industriale come Adidas che su questa scommessa ha investito tanto quanto gli altri. Sfida che va oltre la sfida dove non è detto che a vincere sia l’atletica, dove lo sport cede il passo al business, la poesia alle regole del marketing. Si prova a sgretolare un muro che non è solo un dato cronometrico ma la storia di uno sport, una leggenda scritta di secondo in secondo, di centimetro in centimetro da fenomeni come Paul Tergat o Haile Gebrselassie tanto per citarne alcuni. Un muro che dovrebbe resistere ancora una decina di anni, perchè mancano meno di tre minuti all’ora “ics”, un sospiro nella vita normale, il tempo di un uovo alla coque, che però quando si corre così veloce diventano un’infinità. Un muro che oggi vacilla forse in un momento sbagliato, perchè con tutti i sospetti, gli intrighi e le denunce che hanno offuscato l’anno olimpico forse l’atletica e lo sport avrebbero più bisogno di un passo indietro che non di un salto così audace in avanti. Ma nella corsa, così come nelle logiche commerciali, arrivar primi conta. E allora l’atletica scende in pista, ma non la sua, per un sol giorno su un percorso senza salite, senza curve , senza nulla che possa rallentare un drappello di lepri che tireranno fino a sfinirsi proveranno a scrivere una storia più mediatica che sportiva che non potrà forse neppure essere omologata dalla Iaaf. Ma non è questo il punto, poco importa perchè farà il giro del mondo, dei siti, delle tv, finirà su maglie, scarpe, spot, sarà una griffe che da vendere e promuovere. C’è lo sport e c’è il business. Oggi viaggiano insieme, inutile illudersi. Però la maratona forse è un ‘altra cosa, che va oltre i record, gli algoritmi e gli alettoni sui polpacci. Resta il simbolo di una sfida da eroi, predestinati del Mito, capaci di conquistarsi la benevolenza degli Dei con imprese di straordinaria e solitaria fatica. Così era nell’antichità e così è sempre stato. E forse così dev’essere. Perchè questo record probabilmente farà emozionare qualche consiglio di amministrazione ma Stefano Baldini che entra da solo nel Panatinaikò di Atene fa venire la pelle d’oca ancora oggi…