Eroica, un rito inifinito
D’accordo gli eroi sono altri. Ma domani a Gaiole in Chianti, nella Toscana delle strade bianche, dei filari e dei cipressi che una volta giravano il mondo in cartolina e oggi sui whattsapp, si corre l’Eroica. L’Eroica, nata 21 anni fa per intuizione di Giancarlo Brocci, un medico che non è mai riuscito a curare il suo mal di bicicletta, è una Woodstock a pedali dove tutto torna per magia in bianco e nero. Un happening del ciclismo che fu, quello della polvere, delle facce antiche e delle mani grosse sospeso tra passato e futuro. Un rito che ogni anno si rinnova dove c’è chi finalmente arriva, chi torna, chi si dispera per non esserci e dove chi non c’è più c’è lo stesso nel ricordo di una famiglia che non dimentica. Un gruppo. L’Eroica è un gruppo di 8mila anime, compatto dall’inizio alla fine. Che sorride, chiacchiera, si veste come un tempo, recita ma che fa anche tanta fatica. E che ha il gusto dell’impresa. Perchè 70, 100, 200 chilometri in sella ai vecchi arnesi del tempo, pesanti, senza rapporti, senza carbonio, senza i gel nei sellini, senza tutta la tecnologia che ha fatto diventare il ciclismo una scienza sono davvero un’impresa. Chilometri che sono diventati moda ma che restano il sogno nel cassetto di migliaia di appassionati. Soprattutto stranieri. C’era una volta solo l’Eroica di Gaiole, oggi ce ne sono tante altre in giro per il mondo, dalla California al Sudafrica fino al Giappone, dalla Spagna all’Inghilterra fino al Belgio e al Sud America. È un made in Italy che funziona e che esportiamo, un business stimato intorno ai 5 milioni di euro solo nel Chianti. Un tuffo indietro nel tempo che proprio sulla breccia di strade che collegano poderi a poderi, casali a casali, paesi a paesi è diventato la scelta giusta per garantirsi anche un futuro. Tutto è rimasto più o meno com’era. E la bici, l’Eroica, le strade bianche conservate e difese hanno messo in cassaforte questo territorio incantato. L’Eroica è il passato che diventa futuro. Che celebra il ciclismo di un «cattivo perdente» come Gino Bartali nel più grande duello sportivo del secolo scorso. Quello con Fausto Coppi. Che racconta storie eroiche perchè eroica era la fatica di quel tempo, di quei ciclisti muscolosi che non sapevano cosa fossero diete e watt, che vestivano maglie di lana grossa e mettevano il Chianti nelle borracce. Quel passato è più moderno che mai. Celebrato e raccontato. Nelle facce e nei nomi, nella maglia azzurra della Salvarani con cui domani tornerà a correre anche Felice Gimondi, scortato da sua figlia Norma, in un pedalata che è un omaggio ai suoi 75anni compiuti ieri e alla storia che ha saputo scrivere. Un passato moderno che su queste strade bianche è tornato ad essere una corsa da professionisti, una classica che ha visto trionfare campioni come Fabian Cancellara, Philippe Gilbert e Michał Kwiatkowski. Un passato che resiste al tempo. Dove il ciclismo è gioia, passione, ricordo e collezione. Un passato che non invecchia. Perchè come spiega sempre Giancarlo Brocci: «Qui in tanti hanno trovato il modo di allungarsi la vita…».