Il Nanga Parbat e la potenza del sogno
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Non so cosa insegni la tragedia del Nanga Parbat. C’è una vita che si salva, un’altra che lentamente si spegnerà. Elisabeth Revol, 37 anni francese torna a casa alla fine di una delle operazioni di salvataggio più incredibili dell’alpinismo, Tomek Mackiewicz, 46 anni polacco, resta lassù sui ghiacci dove era riuscito ad arrivare. Fine. Fine di un’ossessione per un “gatto randagio” che, come scrive divinamente sulla sua bacheca di Facebook Agostino da Polenza, aveva sette vite e se le è giocate tutte su quella vetta che era diventata la sua ossessione. Ma ossessione e sogno sono sono la stessa cosa. Inutile chiedersi perchè. Chi glielo ha fatto fare, se è stato egoista pensando alla moglie ai figli, se ha rischiato troppo, se è stato saggio o imprudente. Inutile perchè ognuno nella vita ha i suoi sogni e il diritto di andare a prenderseli almeno che non decida di sopravvivere imbalsamato rassegnandosi al proprio destino. E’ la potenza di un sogno che può far paura ma anche tanta invidia perchè alla fine vive davvero solo chi è capace di sognare. Non esistono giudizi, pregiudizi, non vale niente. Un paio di sere fa, alla presentazione della Nuite de la Glisse, il film di Thierry Donard, che racconta la vita e le imprese di un gruppo di atleti estremi, Davide Carrera che passa un bel po’ della sua la sua vita negli abissi in apnea raccontava la sua di vita: “Ciò che facciamo sulle vette o tra le onde dell’Oceano ci riempie i sensi- raccontava- Deve essere così per cogliere ogni secondo della nostra esistenza. Paura di morire? Sì c’è sempre ma c’è anche la convinzione che potrebbe accadere mentre stiamo rincorrendo un sogno. Che è il modo miglior di restar vivi…”