brera2Applausi, sorrisi e occhi lucidi. Lo sport italiano ha sfilato un paio di sere fa sul palco del Teatro Dal Verme di Milano per la consegna della diciassettesima edizione del Premio «Gianni Brera 2017-Sportivo dell’anno».Un premio per vittorie e medaglie ma anche per come gli atleti affrontano le difficoltà delle loro sfide, per la tenacia che li porta al traguardo, per le storie che con le loro imprese raccontano. Lo sport è sport, punto. Un gesto, la fatica e i sacrifici che ci stanno dietro, i pianti, i sorrisi, le speranze, le delusioni e le gioie. Il resto forse è un’altra cosa. Si tende a dare troppa responsabilità allo sport che dovrebbe educare, far crescere,  ricostruire cultura e senso civico di un Paese che di sport ne fa ancora troppo poco. Ecco, questo il punto. Si parla troppo di sport e troppo poco se ne fa. In fondo è semplice. Lo sport è un’emozione  che si coglie guardando negli occhi chi lo fa. E l’altra sera sul palco del Dal Verme gli occhi hanno detto molte cose. Hanno brillato, luccicato, si sono illuminati e hanno a stento trattenuto qualche lacrima.  Per la nazionale di calcio dei ragazzi con sindrome di down che al mondiale ci sono andati e lo hanno anche vinto, che hanno contagiato tutti con la loro disarmante semplicità, con la loro purezza, con le parole del loro allenatore che raccontano meglio di ogni cosa un lavoro enorme ed oscuro. Gli occhi hanno detto che ricordare è giusto ma non basta  quando sul palco è salito Marco Scarponi, fratello di Michele andato in fuga troppo presto: «Vorrei dedicare il premio ai familiari delle vittime degli incidenti stradali – ha detto chinando il capo un po’ per il dolore un po’ per la rabbia -. Persone che vivono sentendosi in colpa perché possono continuare a vivere. E vivono nell’indifferenza: nessuno ci ha mai avvertito della morte di Michele, se non fosse stato per nostro zio». E poi tutti gli altri. Gli occhi felici e lucidi di Alice Betto la miglior triatleta azzurra, la prima a salire su un podio di coppa del Mondo, la prima ad emozionarsi riguardando sul grande schermo del teatro la sua impresa di Leeds, la prima a crederci sempre dopo un paio di infortuni che le hanno tagliato la strada, dopo la sfortuna, dopo tutto ciò che chissà perchè prova sempre a mettersi di traverso.  Gli occhi allegri di Paola Gianotti, che in bici ha fatto il Giro del mondo, che ha portato ad Oslo le firme per candidare al Nobel la bicicletta, che con la bici ha reso un po’ più libere le donne africane e che con la bici credo abbia intenzione di fare chissà quante altre cose. Gli occhi del Giro d’Italia con Mauro Vegni che quest’anno lo ha portato a Gerusalemme, di David Cioni, direttore tecnico del Team Sky, per la miglior squadra per i successi di Froome al Tour e alla Vuelta e di Kwiatkowski alla Sanremo, di Elena Bertocchi, bronzo ai Mondiali e oro agli Europei di tuffi che a Tokyo potrebbe raccogliere il testimone di Tania Cagnotto. Gli occhi pazienti di Barbara Pozzobon, campionessa di nuoto in acque libere, capace di nuotare ore e chilometri in mare, capace di vincere una coppa del mondo grazie alle sue braccia e alla sua tenacia ma anche alla generosità dei suoi compaesani trevigiani che hanno fatto una colletta per pagarle la trasferta mondiale. Gli occhi timidi dell’apneista Andrea Vitturini, incredulo perchè  forse il premio non se lo aspettava ma che a 49 anni è stato capace di regalare un titolo mondiale all’Italia e gli occhi di Franco Arese,  un monumento della nostra atletica come del nostro sport e dell’impreditoria italiana che ha messo tutta la sua storia in un libro e che val la pena di leggere. E poi  Spal e Benevento che raccontano con gli occhi dei loro direttori sportivi che il calcio non è solo la Champions i milioni assurdi del calciomercato o il business dei diritti tv ma la pssione e la gioia di due piccole città di Provincia che hanno regalato a chi non avrebbe mai pensato il sogno di giocare in serie A. C’è uno sport che non tutti  conoscono ma che fa venire gli occhi lucidi. E meno male che c’è…