schilla«Race Across Limits» sarà molto di più di una corsa. Ma 2200 chilometri con 17mila metri di dislivello da Monza a Santiago de Compostela da pedalare in bici non saranno nulla se si pensa a ciò che è stato. Se ci si gira un secondo a guardare indietro. E lo sa bene Sabrina Schillaci, 49 anni, architetto di Besana Brianza che il 14 luglio partirà per questa impresa che servirà a raccogliere fondi per «Come for Children» un gruppo di osteopati abruzzesi che aiuta i bambini con disabilità. Un viaggio che per lei è un segno del destino: «Sì è così – racconta- è una sfida che chiude un cerchio, una storia cominciata con l’incidente che ha reso tetraplegico mio marito e che mi ha cambiato la vita».

Un tuffo nel giorno di Ferragosto di dieci anni fa, uno scoglio, una vertebra che si schiaccia, il formicolio, braccia e gambe che non si muovono più. E a 40 anni ti crolla il mondo addosso. «Davide non era più l’uomo che avevo sposato – racconta Sabrina – In un attimo è cambiato tutto. La sua e la mia vita. La nostra casa, il nostro lavoro, la nostra azienda, i nostri progetti. Sono diventata le sue braccia, le sue gambe, la sua badante perché pensavo di poterlo aiutare…».  Spesso il futuro non è come ti aspetti e tocca farci i conti che magari non tornano. «Non ero pronta – ricorda – e presto sono caduta in una forte depressione perché siamo forse abituati a dare troppe cose per scontate».

Così, tra ospedali, cure, carrozzine da spingere si va alla ricerca di una nuova normalità che è difficile da accettare, che fatta di una quotidianità complessa, spigolosa, drammatica che un conto è sentirsela raccontare, un altro viverci dentro. La normalità di una vita nuova che arriva quando meno te l’aspetti. Arriva una mattina passeggiando con i tuoi pensieri all’alba sulla Promenade des Anglais a Nizza. «Ho visto un via vai di gente vicino alla spiaggia e mi sono avvicinata – racconta – Erano i triatleti che si preparavano a correre l’Ironman ed è stata come una scintilla. Ho deciso lì, all’istante, che ci avrei provato, che sarei arrivata al traguardo di quella gara». Ma una cosa è pensarlo, altra farlo sul serio.

L’Ironman è la sfida più estrema del triathlon: si nuota per quasi quattro chilometri in mare, poi in bici si pedala per 180 chilometri che è come andare da Milano a Bologna e alla fine si corrono i 42 chilometri della maratona. Non finisce mai. «Quando ne parlai con mio marito e con i miei amici mi dissero tutti che ero impazzita – racconta – Ma io ero certa di potercela fare anche se fino allora non avevo fatto chissà cosa sportivamente parlando. Qualche corsetta…».

Ma la volontà smuove le montagne. Così un paio di anni fa Sabrina Schillaci taglia a braccia alzate il traguardo dell’Ironman di Zurigo. Tredici ore e una manciata di minuti per urlare al mondo una felicità ritrovata, inseguita, conquistata con i denti e con le unghie. Non solo la sua perché sul traguardo c’è suo marito Davide a gioire con lei a «rubarle» tutta l’energia che ha e che gli fa ritrovare la voglia di vivere, di guidare, di far da sé il poco o il tanto che si può. Dopo un Ironman un altro, altre gare altre sfide che riportano Davide e Sabrina ad una vita normale: «Non so se è normale – spiega – E un’altra vita. Nuova, diversa. Non so dire se sia meglio o peggio di prima e neppure mi interessa. So solo che ora sono felice…».