Ieri sera in a Marsiglia la nazionale italiana di rugby è stata battuta 34 a 17 dalla Francia.  I galletti erano malmessi e quindi tutti speravano in un mezzo miracolo azzurro che però non è arrivato ed è finita male. Come con l’Irlanda, come con l’Inghilterra come sempre viene un po’ da dire. Quindici sconfitte di fila nel Sei Nazioni e una collezione di cucchiai di legno destinata ad allungarsi sono il segnale che forse è arrivato il momento di fermarsi a riflettere. E vale anche per il rugby, sport antico, eroico, leale e dei buoni sentimenti dove le polemiche e le moviole lasciano spazio a una pinta di birra alzata con gli avversari in quel terzo tempo tanto unico ed invano imitato. Quindici sconfitte senza battere ciglio, onorevoli per carità, ma a cui sembra quasi si siano un po’ tutti rassegnati, tifosi compresi. Tant’è che vincere sembra sia diventato un trascurabile dettaglio, retaggio lasciato con nobile distacco ad altri sport meno nobili così «miseramente» attaccati alle cose terrene. Ma vincere  è l’essenza dello sport, quello vero, quello degli atleti, dei campioni che quando sono in gara non cercano alibi e non fanno sconti a nessuno, figurarsi a se stessi. Che poi magari perdono anche perchè qualcuno che perde c’è sempre e perchè perdere è un’opzione, ma solo l’ultima più sciagurata delle opzioni, difficile da comprendere e difficile da accettare per chi fa questo «mestiere». Scendere in campo per partecipare fa parte della retorica di uno sport che a certi livelli non esiste, è un’utopia che fa a pugni con una realtà quotidiana fatta di dedizione, tenacia, con l’ossessione degli allenamenti, del traguardo da raggiungere, con la disciplina, la rabbia e i sacrifici che uno si impone per arrivare a conquistare il suo sogno. Chiedete a Vincenzo Nibali quando è scattato sul Civiglio qualche mese fa andando a vincere il suo secondo Giro di Lombardia se si sarebbe accontentato anche di un «onorevole» secondo posto. O chiedete a Sofia Goggia se pochi giorni fa nella sua trionfale discesa di Pyeongchang ha mai pensato in quel minuto e mezzo tutto d’oro che arrivare prima, seconda, terza o nei primi dieci sarebbe comunque stato un successo. Vada come vada ma nello sport si gioca per vincere. Nella finale di champions, nella maratona olimpica come nel campetto di periferia o nell’ultima delle corsette parrocchiali. Vittoria e sconfitta sono le due facce della vita che, nonostante tutta la retorica dei buoni sentimenti funziona così. E’ bello vincere ed è utile (utilissimo) anche perdere quando si è lottato, combattuto, quando si è dato tutto fino all’ultima goccia di energia. Tertium non datur, nello sport va così.