Ci vogliono le “palle” per non stare in scia
In alcune gare di triathlon la scia è vietata. Anche in Texas, inseguendo le polemiche di questi giorni sui social. In scia il ciclismo, il triathlon, tutti gli sport dove si pedala diventano un altro sport. Troppo vantaggio. Ci si mette in coda alla bici davanti e si sta comodi, si va più veloci di ciò che si è capaci, si sfrutta la fatica degli altri. Comodo. Nelle corse dove la scia non c’è si impara invece a fare i conti solo sulle proprie forze. E’ un patto, si sa prima. Ed è un bell’esercizio fisico ma soprattutto mentale perchè quando si è soli si ha più tempo per pensare. Ti girano un sacco di cose nella testa. La fatica aiuta a metabolizzare i pensieri. E’ un giro vizioso: si pensa per non pensare alla fatica. Ma non si sta in scia non perchè è scritto in un regolamento, perchè ci sono i giudici, per la paura di un cartellino rosso. Non si sta in scia per scelta, per coerenza, perchè alla fine la classifica è quella che ognuno sa, non quella che posta sui social. Che poi c’è una scia in bici e c’è una scia nella vita. Ci si accoda, si segue sempre qualcuno che fa cose per te, pensa per te, decide per te, amministra per te. Spesso è un fatto di pigrizia. Ma mettersi in scia non è delegare: è arrendersi. Come scriveva Fabrizio De Andrè la scelta coraggiosa non è stare a ruota ma andare sempre “in direzione ostinata e contraria…”. Però c’è quasi sempre un prezzo da pagare. Però costa il doppio della fatica. Però ci vogliono le “palle”…