In bici, la magia del Gran Sasso
Più sali e più ti senti piccolo. E il lieve senso di ansia che ti coglie spiega, meglio di ogni cosa, chi comanda, chi detta le regole e quale sia l’origine. Ti senti quasi indifeso di fronte alla potenza della natura perchè la magia della bici è anche questa, non sei in una scatola al riparo, al coperto se le cose si mettono male, non puoi mettere la freccia a destra e aspettare che passi la buriana. Se il cielo si imbroglia e si incupisce c’è solo una mantellina a cui ti puoi affidare. Pochissimo, quasi nulla quando ti stai arrampicando verso Campo imperatore, quando sei sotto il Gran Sasso, la cima più elevata degli Appennini, con i 2912 metri del suo Corno Grande. Più sali e più ti senti piccolo quasi a sparire tra gli spazi infiniti di questo altopiano che ti porta in mezzo alle nuvole, con il vento che ti spazza di lato con le raffiche fredde che ti fanno dimenticare l’afa e i 35 gradi della spiaggia da dove sei partito. Per arrivare a Campo Imperatore si sale. Si continua a salire, si sale sempre per una trentina chilometri in cui si ha tutto il tempo per godersi strada, tornanti, dritti infiniti che sembrano portare verso una vetta che non arriva mai. Qui passato il Giro, qui in ordine sparso sono passati Armstrong, Formolo, Pantani nomi scritti con la vernice su un asfalto a grana grossa che sfida ghiaccio e neve. Fatta eccezione per un pastore che vende forme di pecorino sotto una tenda al bivio che porta verso valle e una mandria di cavalli che sembrano senza padrone non c’è nulla quassù. Piove e non c’è riparo. E forse è meglio così perchè non ci sarebbe riparo neppure con il sole. Non c’è una fontana, non un rifugio per un caffè, nulla di nulla. Ed è la meraviglia della montagna vera, quella a cui non importa di essere comoda e turistica, quella che è rimasta ( forse proprio per questo) intatta e che chiede sempre un giusto prezzo di fatica. E la bici è lo strumento perfetto per mettere insieme tutte queste cose. Giù c’era il sole. Ad Assergi, la proprietaria dell’Hotel Giampy, base perfetta per “spiccare il volo” , però ti mette in guardia: “E’ lunga fin lassù, ma poi e il paradiso- dice- Qui oggi fa caldissimo e c’è sole ma sù dà brutto…E in un attimo cambia tutto”. E cambia. Più veloce che mai in un mischiarsi di nuvole che si scontrano, di folate che chiudono gli sprazzi di azzurro e nascondono il sole, di brividi per un temporale in arrivo che quassù ti fa sentire davvero senza difese. Tante le bici che scendono. Veloci. Forse perchè fuggono dall’acqua che li rincorre o forse solo perche si godono il premio della discesa dopo tanto faticare. Ma chi sale sa dove deve andare. A recuperare i figli che, forti della loro gioventù, sono andati in avanscoperta, a scoprire un altopiano che si perde a vista d’occhio in una serie di piccole valli e di borghi che sono gioielli consegnati alla storia come Rocca Calascio , Castel del Monte, Santo Stefano di Sessanio. Non finisce mai. Una salita perfetta nel silenzio di un Appennino che qui si fa fatica anche a raccontare. Non bastano le parole. Non ce ne sono quando vedi i tuoi ragazzi sbucare dalle nuvole incappucciati nelle cerate, che ti vengono incontro con la faccia provata. Però soddisfatti. Difficile a sedici, diciassette anni darti ragione, difficile ammettere che, anche se quassù non ci volevano venire, ora non vorrebbero più scendere. Difficile spiegare una magia. E allora l’emozione per un attimo ti fa accapponare la pelle. Fa freddo. Ma non c’entra. E tutta un’altra storia…