In bici a Milano, morire da fantasmi…
E arriva il tempo in cui non ci sono più né morti né assassini. O meglio, ci sono ma non hanno nome, non hanno identità, sono fantasmi che sfuggono alle immagini, alle tecnologie, che svaniscono, che portano a dimenticare vite di cui nessuno probabilmente chiederà conto. C’è un buco nero in questa città che nasconde molte cose. Tutto ciò che non si vuole veder o sapere. Nomi, cognomi, impronte, storie. Che cancella la vita di un uomo dell’est, di 60 anni che resta sull’asfalto ed è più o meno un fantasma investito e ucciso da un altro fantasma a cui uomini veri e di buona volontà stanno dando la caccia. E pare incredibile in un mondo dove lasciamo tracce ovunque. Non sempre evidentemente. Nel tempo in cui basta un «clic» o una spia dello smartphone dimenticata accesa per essere individuati, l’unico indizio è una bici che rimane lì sul ciglio della strada in via Ferrari al Vigentino. Una bici fatta a pezzi. Con i cerchioni piegati, il manubrio rotto, con i segni di un impatto che ha ferito a morte un uomo poi soccorso e portato al Policlinico ma che alla fine non ce l’ha fatta. Storia di un paio di giorni fa. Un’auto impazzita passa su quella via e incrocia le sue ruote forti con quelle debolissime della vecchia bici da passeggio spazzando via una vita che non conosce. È un attimo, forse non basta neppure ad incrociare gli sguardi, a chiedersi perché, a far sussultare l’anima. Un attimo che dura qualche decina di metri, pochi secondi in cui il poveretto viene trascinato per un tratto e lasciato lì. Poi l’auto se ne va e svanisce per sempre. Anzi no. Riappare, la ritrovano i vigili urbani qualche isolato più in là in un campo ma è un altro fantasma di questa storia di mezza estate, da città vuota, spenta, perfetta per cancellare ogni indizio. Ci sono i segni dell’impatto, il colore potrebbe essere lo stesso visto da qualcuno che era da quelle parti ma nulla più. Pure quell’auto non ha nome e cognome. Ne ha centomila perché targa e modello portano a un prestanome che ne ha intestate a centinaia. Quindi il buco nero inghiottisce anche la speranza di trovare il fantasma che è fuggito. Ci proveranno, ci stanno provando i vigili a ricostruire un mosaico di cui però non si trovano troppi pezzi. E sembra fantascienza. Sembra un film di quelli in cui gli uomini si muovono invisibili, senza lasciare segni che permettano di ricostruire la rete delle loro relazioni, a chi hanno telefonato, a chi hanno mandato messaggi, a chi hanno scritto, dove sono stati, dove hanno mangiato, dormito, con chi hanno parlato… Nulla. C’è una città che ha un «pin» e un «numero segreto» e ce n’è un’altra che vive nascondendosi in una zona grigia dove non è semplice essere intercettati. Vite ai margini, da sopravvissuti. Vite senza nomi e senza facce dove gli unici indizi restano una bici con i cerchioni piegati abbandonata sull’asfalto e un’auto che non ha padrone. Vite dove non ci sono morti né assassini.