Il fascino antico del ciclismo a motore
C’era una volta il ciclismo dietro motori e adesso non c’è quasi più. C’erano una volta i derny, roba per nostalgici. Roba da Sei giorni. Roba da olandesi e da fiamminghi. Roba per malati della pista dove una volta s’imparava ad andare in bici e a vincere le volate . C”era una volta quella motoretta con i pedali e c’erano una volta quei piloti un po’ strani in tuta e caschetto, metà centauri metà ciclisti, che si portavano a ruota gli sprinter sulle paraboliche dei velodromi. Un pezzo di storia . Un ciclismo da romantici che ora è retroguardia che fatica a sopravvivere e a trovare sponsor. Però il fascino resta. Intatto come spesso capita per le sfide di una volta. Trenta, cinquanta, settanta, ottanta all’ora a girare in tondo con i derny che si affiancano, si superano, si fiorano e a volte si toccano. Che diventano tutt’uno con chi pedala in scia. Ciclista e pilota, pilota e ciclista, un corpo solo, un solo respiro, un solo gesto e un’intesa che è un misto di perfetta abilità fino a quando, a qualche giro dal termine, moto e bici si separano come missile e navicella. E ‘alta scuola della velocità dove si spingono rapporti impossibili, le forcelle stanno un po’ più indietro e dove i body sono più attillati che nelle cronometro. Qui si fa lo show e qui i velocisti diventano davvero velocisti. Noi qui facevamo scuola…