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Per mezza giornata moto e auto aspettano giù. Come in griglia, pronte a scattare, aspettando solo che i carabinieri di pattuglia, dopo aver fatto passare migliaia di ciclisti, diano il via libera. Diecimila bici sullo Stelvio però sono un altro Stelvio. Faticoso e silenzioso perchè le chiacchiere dopo primi chilometri stanno a zero. Faticoso e un po’ mistico perchè  è solo il respiro  e il “brecciare” dei copertoncini sull’asfalto a  far rumore, a rompere la sacralità di una salita, che è una spremuta di ciclismo e di storia. “Cima Coppi”, due parole che racchiudono  il mito di un sport che  da Fausto a Gino a Felice  è un’ epopea da portare sui banchi delle scuole per raccontare il Paese che siamo stati e che , con un po’ di nostalgia,  vorremmo tornare ad essere. Sport popolare perchè mette insieme tutti i mondi possibili, magari lontanissimi che però tra pedivelle e pignoni girano intorno allo stesso stesso pianeta. Basta un’ora, un allenamento, una mattina o un giorno come questo, dove le strade dello Stelvio si chiudono dalle 8 del mattino alle 16 del pomeriggio per il Bike day del Parco, per rimettere le cose a posto. Per ridare un senso ai luoghi di alta montagna con i suoi riti lenti, con i suoi silenzi che sono valori e tradizioni che fanno a pugni con lo smanettare festivo dei centauri o con i concerti rock  che restano solo un business spacciato per ambientalismo. Così, con lo Stelvio che per un giorno resta “silente”, guardi all’insù e ti manca il fiato. Perchè tutto quel silenzio è una potenza assoluta e all’alba è una meraviglia seguire con gli occhi la processione di ciclisti che salgono per rendere omaggio alla maestosità di un luogo e a ciò che,  nell’immaginario ciclante, questa montagna rappresenta. E perchè 2800  metri di altezza  e una serie infinita di tornanti il fiato te lo tolgono, senza sconti, senza differenza che si salga da Bormio o da Prato oppure dalla Svizzera. Ci si trova sù. Tutti. Diecimila dicono, uno più, uno meno. Comunque tanti: giovani, meno giovani,  mariti, mogli, figli e nipoti. Campioni  che hanno lasciato il segno come Ivan Basso o Alberto Contador che fanno fatica a salire e scendere perchè oggi non hanno più le gambe di allora ma soprattutto perchè, nell’epoca degli smartphone, i selfie diventano una mezza tortura e tocca pagare pegno delle popolarità. Però “mas rapido…” come dice subito il Pistolero che ha un polso rotto e quindi pedala con un tutore. “Rapido” perchè lassù fa freddo sempre e quindi è tutto un cambiarsi d’abito, un coprirsi, un mettersi al riparo per affrontare una discesa che potrebbe anche essere peggio della salita. Chi sale e chi scende,  senza fretta, prendendosi tutto il tempo necessario per godersi una giornata e una montagna che sembrano fatte apposta per andare in bici. Lo Stelvio è lì, immobile, che sembra non arrivare mai e invece alla fine, quasi per magia, arriva.  Immobile finchè non decide di farsi sentire . Ed è la cronaca allora a battere un colpo quando, nel primo pomeriggio, un grosso masso, in località Bagni Vecchi, si stacca dalla costa e precipita sulla strada rompendo le reti di protezione. Solo la buona sorte evita una tragedia perchè proprio in quel momento non passa nessuno. Ma la paura è tanta. L’allarme è un viavai di mezzi di forze dell’orine poi la  strada viene chiusa all’altezza della quarta Cantoniera con un bel sospiro di sollievo.  Chiusa anche nei prossimi giorni finchè i tecnici dell’Anas, dopo i sopralluoghi, non avranno riportato la zona in sicurezza.