medL’uomo sta diventando «bionico», nel vero senso della parola. Ma c’è un campo che fa spesso da apripista, in cui le tecnologie sono ormai decisive: lo sport. Le aziende stanno sperimentando e investendo, testano e brevettano fiutando un business a parecchi zeri. E se gli atleti fanno da cavia, la tecnologia che ora serve a raggiungere i record in pista e negli stadi finirà presto anche nella nostra vita quotidiana. Robotica, realtà virtuale, nuovi strumenti stanno cambiando la vita di tutti i giorni e la medicina applicata allo sport ( ma non solo) non sfugge. Negli ultimi vent’anni, le diagnosi, le terapie, il rapporto tra medici e pazienti sono passati per una rivoluzione culturale che, seguendo la sorte toccata a tante professioni, fa quasi pensare che si possa far da sé e che comunque macchine (o robot) abbiano preso il sopravvento. Per fortuna non è così. «Gli strumenti restano strumenti – spiega il professor Nicola Montano, docente di Medicina interna all’Università Statale di Milano -. Tecnologie fantastiche che negli ultimi 15 anni hanno cambiato prepotentemente l’ambito medico e la nostra professione ma che valgono solo se rispondono ad una domanda clinica».
E la domanda clinica deve continuare a porla il medico?
«Ovviamente sì. Il progresso tecnologico oggi ci permette in tutti gli ambiti, dalla diagnostica ai laboratori, dalla radiologia ai big data di avere a disposizione una mole di informazioni quasi infinita che ci sta portando sempre più verso una medicina di precisione. Basti pensare che oggi la proteomica, la genomica o la metabolomica permettono una caratterizzazione proteica, genetica e metabolica di ogni individuo. Il problema è che tutte queste informazioni vanno lette e devono sempre dare risposte alle domande dei medici».
Ma non c’è rischio che un medico non faccia più conto sul suo sapere e sulla sua esperienza?
«Il rischio è più teorico che pratico. Ad esempio la Tac. Ormai è talmente sofisticata che ci permette di vedere anche cose infinitamente piccole che possono essere scambiate anche per ciò che non sono. Ecco, è lì che il medico diventa imprescindibile. Tutte le informazioni servono a ridurre gli errori e i falsi positivi cioè quelle diagnosi che a volte evidenziano patologie che i pazienti non hanno. Ma uno spazio di incertezza resta».
Quindi la tecnologia non cancella i dubbi di un medico?
«No, e meno male. Un medico che non ha incertezze, che non ha dubbi rischia spesso di arrivare a conclusioni sbagliate».
Però ormai molti pazienti le risposte le cercano e credono di trovarle digitando su Google?
«Purtroppo sì anche se va detto che la possibilità per un paziente di trovare informazioni in rete non va demonizzata. Permette di avere una maggiore consapevolezza se non si ha la presunzione di far da sé».
Quindi il futuro passa da qui?
«Oggi grazie ai pc, agli smartphone, alle app c’è una telemedicina che permette di seguire pazienti cronici o anziani a casa senza ospedalizzarli. Ed è un bene per loro ma anche per i costi della sanità».
La tecnologia ci travolgerà?
«La tecnologia non è il Bene o il Male. E uno strumento a disposizione delle persone».