“Con queste regole nuoto e sport affogano”
Ripartire? Noi siamo pronti, certo è che con queste linee guida la prospettiva è abbastanza inquietante…». Luca Sacchi, olimpionico del nuoto azzurro a Barcellona nel ’92 e presidente della DDs di Settimo milanese, uno dei centri e delle società sportive che vanno per la maggiore nel nostro Paese, parla da dirigente sportivo ma soprattutto da imprenditore di una azienda che dà lavoro a una settantina di persone tra addetti e tecnici e intorno alla quale gravitano 3500 sportivi tra cui molti atleti di livello nazionale tra nuoto e triathlon.
Il suo è un Sos su una Fase 2 che potrebbe ricominciare dal prossimo 18 maggio ma che, anche per lo sport, appare tutta in salita così com’è confusa tra regole spesso contraddittorie e difficilmente sostenibili: «Il problema non è solo ciò che è stato- spiega- ma sopratutto ciò che ci aspetta, una bomba economica che rischia di non far neppure riaprire molti centri sportivi. Due mesi e più di quarantena pesano. Sono un stop che rischia di mettere in ginocchio anche realtà solide. Per noi il danno si aggira sul mezzo milione, che è un quarto del nostro fatturato…».
Vasche vuote, senz’acqua. Impianti spenti come mai era successo ed è un precedente che apre molti interrogativi: «Il nostro centro sportivo non ha mai chiuso- spiega Sacchi- Lo stop più lungo è stato di 5 giorni e quindi non sappiamo bene cosa accadrà quando rimetteremo in moto gli impianti per riempire le vasche, per disinfettare le acque con il cloro». «A tutto ciò si aggiunge l’incertezza su come dovremo riorganizzare tutta la gestione nella fase 2- continua il presidente della Dds- Siamo in attesa di sapere qualcosa dal governo, che ci spieghi con chiarezza cosa fare perchè attualmente l’unica disposizione è la direttiva sulle linee guida della Federnuoto, 18 pagine di disposizioni molto articolate ma anche difficilmente applicabili a partire da una serie infinita limitazioni che impongono il rispetto delle distanza in acqua e che partono dal presupposto che atleti, amatori, appassionati nuotino tutti alla stessa velocità e non si fermino mai. Praticamente impossibile…». Non solo.
Anche per i centri sportivi si parla infatti di ingressi contingentati, di mascherine, di sanificazioni più o meno quotidiane, di gel agli ingressi, di distanze negli spogliatoi e nelle docce, di sanificazione degli attrezzi dopo il singolo uso. Teoria e pratica, quasi sempre due mondi distanti che cozzano con quelle che sono poi le esigenze reali. «Il problema vero è che attenendosi alle regole che ci verranno imposte per gestire un centro sportivo servirebbe il doppio del personale e diventerebbe impossibile da sostenere economicamente – spiega Sacchi- Non solo da un punto di vista agonistico ma soprattutto da quello che riguarda l’azienda che vive non solo ovviamente sull’attività di atleti e campioni ma anche su chi viene qui a fare sport per il semplice benessere, sui corsi, sull’attività giovanile.
Un esempio sono i campus per i ragazzi che da sempre noi organizziamo in estate e sono molto frequentati perchè rappresentano una soluzione per molte famiglie che lavorano e, a scuole chiuse, hanno spesso il problema di dover gestire i figli. Generalmente riusciamo a contenere i costi allargando i gruppi a 15-20 ragazzi, ora dovremmo limitarci a gruppi di 5 e sinceramente la cifra che dovremmo chiedere alle famiglie è improponibile…».
E’ un po’ l’effetto domino scatenato da questa pandemia che, ancora una volta mette purtroppo in chiaro come nel nostro Paese lo sport continui a venire dopo, da sempre considerato solo gioco e divertimento e mai invece impresa che produce lavoro, benessere e soprattutto risparmi su una spesa sanitaria su cui chi si allena non va ad incidere: «Purtroppo è così- spiega Sacchi- Da noi manca la cultura della pratica sportiva legata al benessere, alla produttività, ai valori sociali. Lo sport continua ad essere considerato come un vuoto a rendere con tutto ciò che ne consegue. Anche per questo le prospettive di ripartenza sono inquietanti…».