Anni fa, quando fu costretto a dare forfait ai mondiali di Richmond Geraint Thomas  la prese con filosofia:  “Pazienza- scrisse sui suoi canali social- mi guarderò i mondiali di rugby e penserò al mio matrimonio, non necessariamente in quest’ordine…”. E così è stato: gli All Blacks vinsero il titolo con suo sommo dispiacere e lui convolò a giuste nozze con la bella Sara che da allora è sempre al suo fianco in ogni cosa e in ogni corsa che fa.  Storia strana quella di questo gallese di 34 anni che due anni fa la Regina Elisabetta ha nominato Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico  per meriti ciclistici.  Prima nuotatore, poi rugbysta nella squadra della sua scuola a Whitchurch,  poi pistard per tre volte campione del mondo e per due volte oro olimpico a Pechino e a Londra, poi gregario di Froome  e poi, due anni fa, cristallino vincitore del Tour de France. Storia strana che dopo tre tappe di un Giro d’Italia in cui era favorito, in cui aveva dato un minuto nel cronoprologo a Vincenzo Nibali, in cui “stavo proprio bene…” e che aveva preparato con tutto lo scrupolo che serviva,  cade rovinosamente su una borraccia e se ne torna a casa con il bacino fratturato. Sfiga e non è la prima volta. Forse destino. Strana storia che si ripete come tre anni fa, sempre al Giro, quando sulle strade d’Abruzzo nella tappa del Blockhaus  finisce per terra in una carambola contro la moto di un poliziotto ferma a bordo strada;  come  nel 2005 quando in Australia atterra nuovamente sull’asfalto dopo un volo provocato da un pezzo di bici che si stacca da quella di un suo compagno di squadra che sta tirando e che gli costa l’asportazione della milza. O come quella di quattro anni fa al Tour quando sbaglia in pieno una curva  in discesa e non finisce in un scarpata solo perchè va a sbattere rovinosamente contro un palo che lo ferma.  Nella sfiga anche un po’ di fortuna. Robe da ciclisti. Ma Thomas si è sempre rimesso in piedi e lo farà anche stavolta per ricominciare a scrivere la sua strana storia che chissà dove lo porterà quando un giorno deciderà di smetterla col ciclismo. Magari sui campi gara del triathlon, come garantisce il suo amico Cameron Wurz che lo scorso anno ha dominato l’Ironman di Cervia e spesso si allena con lui agli ordini del preparatore del team Ineos Tim Kerrison: “Sa nuotare, ovviamente va forte in bici ma corre anche a 3 e 40 al chilometro, quindi…”. Quindi la porta è aperta anche se non è detto che il gallese dalla faccia e i basettoni da beatle deciderà di aprirla e quando aprirla. “Quando mi ritirerò dal mondo del ciclismo professionistico voglio sicuramente affrontare un Ironman- aveva detto mesi fa a Cyclingnews-  O forse più di uno a cominciare da quello in Galles. Penso proprio che avrò bisogno di qualcosa da fare quando mi fermerò. Se succederà fra tre o quattro stagioni, finirò con 18 anni da professionista. Saranno vent’anni strani in cui tutto quello che ho fatto è pensare al ciclismo…”. Forse troppo. Ma per ora la bici resta al centro. Il Giro non c’è più, c’è un convalescenza da fare,  ma quel volo sull’asfalto, le ferite, la botta e la maglia lacerata sono immagini che da sole bastano a raccontare chi è questo ragazzo di Cardiff che ora vive a Monaco ma che è cresciuto in un “paesone”  di minatori dove ancora oggi si tutti si conoscono e si salutano per strada.  Le radici sono quelle, gente tosta abituata a far fatica e che non si arrende, capace di stringerre i denti, di tenere a bada il dolore e di farsi cinque ore di bici in salita anche con un bacino  a pezzi. Capace di rimettersi in piedi in fretta. Capace di tutto anche di tornare al Giro e magari vincerlo. Meglio se in Primavera per ristabilire il giusto senso delle cose…