Il cardiologo: “Morire di sport? Fate i controlli…”
Cristian Eriksen ha tenuto il mondo col fiato sospeso ieri pomeriggio e ora sta meglio. Anzi, si può dire bene. “Se n’era andato, praticamente era morto- ha spiegato stamattina in conferenza stampa Morten Boesen, responsabile medico della nazionale della Danimarca, tra i primi ad intervenire- Era in arresto cardiaco. Non so come abbiamo fatto a rimetterlo al mondo…”. Ma si può può rischiare di morire di sport? «Certo, si può ma la probabilità è molto bassa- spiega il professor Giuseppe de Angelis primario di cardiologia dell’ospedale di Rho- Ovvio che quando succede a persone giovani che stanno facendo sport fa più scalpore. Però si tratta di eccezioni, il fenomeno è basso anche se non è zero e comunque i casi di morte improvvisa in genere nascondono sempre patologie cardiache che in condizioni normali sono silenti». Ogni anno nel nostro Paese la morte improvvisa colpisce 60mila persone e l’80 per cento dei casi è dovuto a cause vascolari, il resto ad aneurisma cerebrale o dell’aorta. «I dati riguardano la popolazione generale- spiega il professore De Angelis- molto spesso persone ipertese o con patologie legate al diabete. Nella popolazione giovane invece la morte improvvisa è legata a patologie aritmiche o patologie muscolari cardiache che non si manifestano in condizioni di normalità e potrebbero anche non manifestarsi mai. C’è però una scintilla che può innescarle come una forte condizione di stress oppure lo sforzo di una attività sportiva agonistica». Difficile coglierne i segnali. Difficile perchè durante una gara o una prestazione fisica intensa un atleta allenato è generalmente abituato a convivere con fatica e dolori quindi spesso tende a sottovalutare i segnali o addirittura a non coglierli. I dati di uno studio pubblicato nel 2006 dalla società italiana di cardiologia dello sport evidenzia come le fasce più a rischio siano quelle tra 40 e i 50 anni e tra i 50 ed i 60 e il maggior numero di decessi si verificano nel calcio seguito dal ciclismo, dal podismo. Ma evidenzia soprattutto come la morte improvvisa durante l’attività sportiva sia un evento davvero raro che coinvolge tra 0.5 e i 3 decessi ogni 100mila atleti. Però l’effetto sociale e mediatico è devastante, tanto da far sembrare che abbia un’incidenza addirittura maggiore rispetto alla popolazione generale. Conta l’aspetto emotivo perchè spesso a morire sono volti noti. Da Renato Curi, mediano del Perugia, al cestista Luciano Vendemini morti in campo nel 1977, da Vigor Bovolenta che si accasciò nel 2012 sul campo di pallavolo al mediano del Livorno Nestore Morosini che sempre in quell’anno perse la vita in una partita contro il Pescara, a Davide Astori morto nella note in albergo alla vigilia di una gara. «E i professionisti in genere sono più allenati e controllati- spiega il professor De Angelis- Per chi invece fa sport amatorialmente il problema è relativamente diverso. Chi fa attività agonistica deve sottoporsi oggi ad una visita sportiva generale che dopo un’anamnesi su eventuali patologie familiari prevede un esame delle urine, un esame spirometrico ed un esame cardiologico basale a cui segue un esame cardiologico sotto sforzo. Ovviamente la capacità predittiva di questo test è bassa e permette di evidenziare patologie latenti nel 60 per cento dei casi. Solo nel caso si evidenzi ad una patologia si procede ad un esame di secondo livello come possono essere un’ecografia cardiaca o una scientigrafia. E solo se c’è un altissimo sospetto di patologia cardiaca evidenziata dagli esami precedenti e da una familiarità con casi di morte improvvisa si può pensare ad una coronografia chè è un esame invasivo e quindi raramente viene proposto ad una persona sana». Quindi buona regola, nonostante non metta al riparo completo da ogni rischio, resta quella di fare almeno ogni anno la visita cardiologica prima di avvicinarsi alla pratica sportiva. Che comunque porta benefici, perchè su questo pare non esserci dubbi. «Studi confermano che l’attività sportiva blanda per chi si avvicina da uno stato di sedentarietà riduce la mortalità del 50 per cento e aumenta di 15 anni l’aspettativa di vita- spiega il primario di cardiologia di Rho- Il vantaggio si vede meno quando l’attività sportiva diventa intensa e importante, un impegno quotidiano intenso che poi porta a mezze maratone, a maratone, al triathlon. In questo caso è obbligatorio il buonsenso perchè l’attività estenuante può diventare e pericolosa e quindi provocare un deterioramento muscolare e coronarico. Quindi va assolutamente rispettato un giorno di riposo ogni settimana che serve a rigenerare il miocardio che è un muscolo e non va affaticato quotidianamente. Bisogna con il riposo dare la possibilità all’organismo di scaricare le tossine. Lo sport comunque è fondamentale ed è giusto farlo. Però ascoltando sempre i segnali che arrivano dal proprio corpo, rispettando la stanchezza e non avere la presunzione a sessant’anni di fare cose e seguire prestazioni da trentenni».