Boston è Boston. La vera maratona americana, quella che conta. Più di New York, considerata commerciale, da “parvenu” della fatica, da turisti. Boston è Boston da sempre, il terzo lunedì’ di aprile durante il Patriot’s day la festa che in Massachusetts celebra l’inizio della rivoluzione. Boston che si è sempre corsa, senza mai un’interruzione neanche durante guerre e terremoti. Boston è il fiore all’occhiello degli americani, il punto d’orgoglio, la loro storia sportiva, il simbolo che conservano. Boston è la maratona più dura del mondo con quella sua collina “spaccacuore” a dieci chilometri dall’arrivo. Boston che va oltre la cronaca anche questa volta. Per Jacky Hunt-Broersma, 46 anni, atleta sudafricana con una gamba amputata che vuole battere il record mondiale di 101 maratone consecutive, sarà la novantaduesima maratona quotidiana: una al giorno per 102 giorni, per entrare nella storia. Oggi ha concluso la sua maratona numero 89: “La prima cosa che ho fatto dopo la corsa è stata togliermi la gamba: mi sento bene. Ne mancano 31” ha twittato.  Jacky che  vive a Gilbert in Arizona con il marito e due figli che sono in pratica il suo team di supporto, non era affatto una persona sportiva. Purtroppo nel 2001 le viene diagnosticato un sarcoma di Ewing, una rara forma di neoplasia che colpisce generalmente i bambini, e per sopravvivere le viene amputata la gamba dal ginocchio in giù. La corsa però le cambia la vita. «Mi sono innamorata  dello sport-  racconta al New York Post– e della sfida di spingere oltre i limiti il mio fisico per vedere cosa riesco a fare». E lo fa ogni giorno.  Ventisei miglia quotidiane su un circuito attorno alla sua casa con sole, pioggia o vento. E quando proprio non si può sul tapis roulant. Boston sarà l’unica maratona certificata che correrà in questo suo lungo viaggio. Tutto  su una lama in fibra di carbonio che è diventata la sua gamba sinistra. Tutto con la sola forza della sua testa e con la volontà di non fermarsi: “Una notte mentre ero in Olanda con mio marito ho notato  un rigonfiamento delle dimensioni di una pallina da golf su una vecchia cicatrice, una biopsia ha confermato il peggio e in poche settimane mi hanno dovuto amputare la gamba sotto il ginocchio- racconta – La più grande lotta è stata accettare che una parte del mio corpo fosse sparita ma la corsa mi ha aiutato ad accettare tutto ciò e mi ha ridato un senso di libertà…”. Giorno dopo giorno, come le sue maratone. Giorno dopo giorno riconquistando fiducia fino a pensare ad una sfida impossibile nata forse anche un po’ per caso quando su un giornale legge che  Alyssa Amos Clark, atleta disabile del Vermont, ha stabilito il record di 95 maratone quotidiane.  L’idea è di batterla correndone cento ma poi arriva l’inglese Kate Yayden, che di maratone in Inghilterra ne ha corse 101, a sconvolgerle il piano, portando la sfida a 102. “Diciamo che in un certo senso ho fatto pace con il dolore- spiega sempre al  NYP-  e spero che tutto ciò serva ad ispirare molte persone. Non è semplice: qualche settimana fa ho avuto un crollo emotivo, pensavo di non farcela più poi ho provato a scomporre le distanze in piccoli pezzettini. E sta funzionando…In realtà mi sto convincendo di essere più forte di quanto penso e di essere molto più capace di quello che credo…”.