Comunque non è ancora successo niente quindi meglio non esagerare con gli aggettivi se no poi, quando il bello verrà, sarà difficile trovarne. Ma se due anni fa, nella crono finale sulla  Planche des Belles Filles,  Tadej Pogacar si era preso il Tour che Primoz Roglic e la Jumbo Visma, il suo squadrone, avevano corso da pistoleri e pensavano già d’aver vinto, oggi il ragazzo col ciuffo ha vinto la sua seconda tappa in maglia gialla su una salita dove, più che in bici,  si sarebbe dovuto salire con i ramponi.  Sono due tappe che il Tour fa il Tour, evento mondiale, corsa di campioni, sfida che vale soldoni e prestigio tanto quanto un Supebowl, un’olimpiade o una finale di Champions. Evento che muove un Paese, che lo ama, lo segue, lo racconta, ci investe e  gli dà le prime pagine dei giornali e non solo dei giornali: altro che calciomercato, vacanze vip di calciatori e veline, tradimenti e matrimoni.  Bisogna farsene una ragione: le altre sfide sembrano  da strapaese al confronto, quindi inutile strapparsi le vesti, insistere con i paragoni impietosi, provare a spiegare, dolersi, arrabbiarsi. Se altrove la corsa langue un motivo ci sarà. Qui non c’è tempo per la noia. La settima tappa è una di quelle che non andrebbero mai viste perchè crea dipendenza e rischia di rendere noioso tutto ciò che verrà. E’ una salita che si perde nella polvere e che si perde nel tempo perchè ogni metro è un’eternità;  che arriva al 24 per cento, che è difficile andare dritti e dove anche i tanti amatori che si danno arie da “pro” scenderebbero a spingere. Una salita che è giallo nel giallo perchè gli ultimi metri sono un disperato rincorrersi senza  certezze.  Ce n’è una sola: il “fieu”, come lo chiama Ernesto Colnago, che infatti fa il bis. Seconda vittoria in due giorni davanti al danese Jonas Vingegaard che prova a staccarlo, ci riesce, ma proprio quando crede di avercela fatta lo vede ripassare a due metri dal traguardo come un gatto dalle sette vite, come un supereroe che non muore mai o forse come un incubo. Gli altri a ruota. Più o meno a ruota. Arrivano alla spicciolata l’altro sloveno Primoz Roglic, il tedesco Lennard Kamna che era in fuga ma cede a cento metri dall’arrivo, Geraint Thomas, David Gaudu, Enric Mas, Romain Bardet Adam Yates. Sono tutti lì vicini ma in realtà lontanissimi. I distacchi non contano. Contano gli sguardi che nascondono una sottile sensazione di impotenza perchè il “fieu” pare davvero di un altro pianeta.