L’ingegnere ciclista che fa le bici con i diamanti
Un gioiello, anzi un diamante. Tanti diamanti che incastonati su due biciclette ne fanno vere opere d’arte. Senza possibilità di replica. Due gioielli: «Oblivion», che proietta la visione terrena di un velocipede nella dimensione post apocalittica di un altro pianeta, e «Obsession», l’ossessione di chi con un telaio e due ruote si ostina a viaggiare con la fantasia. Possono due biciclette da corsa raccontare tutto ciò? «Parto dall’idea che chi costruisce una bici oggi deve essere per forza un po’ visionario perché altrimenti è difficile aggiungere qualcosa ai modelli ormai quasi perfetti da oltre diecimila euro che si possono trovare sul mercato. Bisogna essere sempre capaci di inventarsi qualcosa… Un po’ come è stato capace di fare un genio come Ernesto Colnago che, dal carbonio ai freni a disco, è sempre stato un passo avanti a tutti. E infatti ha scritto la storia…».
Alberto Garagiola, 49 anni di Magenta, cittadina a una trentina di chilometri da Milano, terra di musica, santi e battaglie d’Indipendenza tra austriaci e franco-piemontesi, non è «Colnago» ma anche lui costruisce bici: progetti, misure, modelli, colorazioni, meccanica. Una diversa dall’altra, non replicabili, uniche: bici d’autore. Le due tempestate di diamanti esposte poche settimane fa alla Fiera di Milano, sono la fine di un percorso creativo cominciato un anno e mezzo fa e che ha coinvolto tecnici, chimici e designer. Due gioielli da 80mila euro che, con tutta probabilità, finiranno nei salotti di qualche emiro che già ci ha messo gli occhi sopra.
«Perché i diamanti su una bicicletta? Perché volevo uscire dalla routine dell’officina, volevo creare un oggetto d’arte che colpisse la fantasia- racconta -. Avrei potuto usare degli zirconi ma non sarebbe stata la stessa cosa. Diciamo che sono due modelli che, all’ennesima potenza, riassumono il senso più profondo della bicicletta che non è solo un mezzo di trasporto o per fare sport ma un oggetto che sa far sognare e ci fa ritornare tutti un po’ bambini…».
L’ingegnere Alberto Garagiola costruisce bici ormai da una quindicina d’anni. Una storia lunga la sua, cominciata, come capita spesso, per caso. Iniziata sui banchi del Politecnico di Milano quando, con un suo compagno svizzero di facoltà, pedalavano insieme tra un esame e l’altro in mountain bike sulle colline del Comasco.
La bici è la passione ma lo studio e la laurea lo portano altrove. Prima nell’aeroporto di Malpensa dove «traffica» tra sistemi aeronautici e motori, poi negli uffici di una grossa azienda di riscaldamento e condizionamento della sua zona dove si occupa della progettazione degli impianti. «Ho fatto quella vita per anni ma mi stava stretta – racconta -. Il lavoro mi appassionava, i colleghi erano simpatici, guadagnavo anche bene ma non sopportavo, e non sopporto, la routine e poi avevo la bici in testa. Così con il mio compagno di università ci siamo messi a progettare uno stampo per realizzare un primo telaio per una bici da corsa in carbonio approfittando anche del fatto che suo padre, a Lugano, aveva un’attività proprio in quel settore. Di giorno lavoravo in azienda, di notte mi fermavo nel garage di casa per dedicarmi al mio progetto. Ma avevo già capito che la strada era quella…».
Nel 2009 nasce la prima sua bici firmata. Un anno dopo la prima bici costruita per un cliente a cui dà un marchio tagliando a metà il suo cognome ed aggiungendoci un più: «Gara+». Posto fisso addio. Si licenzia, inizia a «pedalare» sul serio per conto suo e oggi produce un centinaio di bici l’anno senza l’ardire di volerne fare di più perché la sua idea di azienda è più vicina a quella di una sartoria che costruisce abiti su misura che non a quella di un’industria che fa capi in serie: modelli da corsa, da triathlon, gravel ed anche mountain bike, il primo amore. Una scommessa imprenditoriale non a costo zero perché gli investimenti per realizzare una bici in carbonio non sono pochi. Per uno stampo, che dura solo qualche anno, ci vogliono tra i 40 ai 50mila euro e ogni modello ha misure diverse. E poi ci sono i costi di certificazione, i test di resistenza, le prove da sforzo per ottenere il via libera.
«Che è poi la stessa procedura che abbiamo dovuto seguire per realizzare le due bici coi i diamanti che sono state certificate per essere usate in strada anche se ciò non avverrà – spiega -. Un viaggio di un anno e mezzo con molti compagni di avventura. L’idea mi è venuta parlando un giorno con Lucky, il mio amico di Kaos design, che mi affianca da una decina d’anni nella realizzazione dei disegni e delle colorazioni dei telai. Perché non mettiamo su una bici della polvere di Swarovski? Ci siamo detti. Sarebbe la prima volta. Poi qualcuno ha pensato ai diamanti e sembrava una follia. E forse lo è stata. Per incastonarli nel telaio abbiamo dovuto forare il carbonio, che già di per sé è sottilissimo, con i trapani utilizzati dagli orafi cercando di non comprometterne la struttura che poi infatti ha dovuto sopportare una nuova serie di test. Un lavoro complicatissimo…».
Ma non il solo. «Sì, perché una volta inseriti i diamanti nel telaio, purtroppo ci siamo accorti che non brillavano perché il fondo del carbonio è scuro e non riflette. Allora, con un’azienda chimica, dopo una serie infinita di prove, abbiamo progettato e realizzato una resina e un indurente argentato che permetteva al diamante di brillare… Il tocco finale è stata la grafica. Sulle due bici infatti i diamanti non sono posizionati a caso ma rappresentano le stelle di due galassie».
Il risultato è la meraviglia di chi in Fiera si avvicinava ad osservare Obsession e Oblivion, chiedendosi perché mai su una bicicletta fossero stati incastonati dei diamanti, che valore avessero, chi le avesse commissionate: «E il bello è che a molte domande non c’è la risposta – spiega Garagiola -. Non c’è la spiegazione che molti si aspettano se non che quei due oggetti sono un’idea che ha preso corpo. Sono la passione che è diventata un lavoro. Di una bici mi affascina l’estetica, è la prima cosa che guardo. Mi perdo nell’osservare le finiture, i dettagli, i tappini che chiudono i manubri, le viti, tutto ciò che fa di una bici una bella bici. La meccanica sinceramente mi attira meno anche perché ormai, dai gruppi alle ceramiche dei cuscinetti, è tutta standard e di altissimo livello. C’è poco da inventare. Però mi appassiona tantissimo “riparare” in un mondo dove per calcolo e fretta ormai oggi si tende a sostituire tutto. In realtà quasi ogni cosa si può riparare, basta avere tempo ed esperienza…». Il resto è genio e un pizzico di follia.